Era improvvisamente sorto un nuovo spirito dell'epoca, ormai non si riusciva più a vedere gli esseri umani come si era fatto per i secoli anteriori e si era stati abituati: un corpo, un cervello, un'anima, gusti, educazione etc. Era come se a un tratto ci si fosse svegliati, e, aperti gli occhi, si fosse colta finalmente l'essenza, la visione autentica e sintetica di quello che in effetti è una bestia uomo. Fissandolo con attenzione non ci si poteva figurare altro che un tubo verticale, un canale che iniziava dalla bocca e finiva nell'ano. Attorno ad esso poi si ammatassava tutto il resto: gli organi, gli umori, i fluidi, le ossa, le curve, la ciccia, i comportamenti, ma tutto ciò non rappresentava che orpelli, complementi di scarsa rilevanza per uno sguardo che badasse solo alla sostanza. Un uomo non era altro che il canale che tramuta cibo in merda. Al contempo ormai, quando ciascuno fissava gli altri esseri umani e immaginava la loro storia, l'unica figura che fioriva, univoca e ripetitiva, era quella di questo tubo di tessuti, perso in uno spazio vuoto e incolore, che, visto nel suo divenire, cresceva, si allungava, resisteva un certo tempo, poi invecchiava fino a dissolversi; persisteva il più possibile ingurgitando determinate quantità di certe merci ed espellendone determinate altre di escremento. Dissoltosi il canale, nella visione, non restavano che quintali e quintali di materiale di risulta derivato dalla più o meno vasta attività copropoietica di una biografia completa. Rimaneva materiale di uno o altro tipo a seconda della qualità e quantità delle cibarie ingurgitate, del corretto funzionamento del tubo, e di tutte le altre variabili concrete implicate. Tutto il resto pareva aver perso di importanza o addirittura non esistere per nulla e la progressione temporale di ogni vicenda personale non contemplava che questi due momenti: quello dell'ingerire e quello dell'evacuare. Una “macchina” priva di fascino, sgradevole, si sarebbe detto nei tempi passati a vederla in questo modo, ma ormai tale visione non faceva il ben che minimo effetto repellente a nessuno. Era stupefacente forse la ripetitiva costanza e il nitore figurativo con cui questa nuova interpretazione della realtà antropologica si affacciava nella mente di ciascuno, così univoca, concorde, esatta alla fine, eppure che, nell'umana vicenduola, si era tardato tanto a maturare.
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