La copertina del romanzo è stata proposta, all'editore e poi al grafico, da me stesso (l'autore); è stata presa in considerazione e poi definitivamente accettata. Ha riscosso consenso solo in virtù del suo contenuto estetico, prima che ne specificassi il senso, ma essa possiede un significato preciso e affine alla storia di cui funge da primo elemento comunicativo.
Dal punto di vista personale ha anche un senso affettivo, posto che l'immagine che campeggia sulla scena viene da una foto, regalo di un caro amico, ma la ragione per la quale mi sono deciso a sceglierla ha un senso più profondo.
Va notato che gli elementi che compongono la copertina nel suo insieme sono fondamentalmente due: la foto e la scritta del titolo. Sono stati accostati in modo tale da creare un effetto piuttosto stridente la cui dissonanza arrivasse in qualche modo anche a chi non fosse subito cosciente di percerpirla.
L'animale raffigurato è infatti una scimmia (un esemplare imbalsamato esposto al museo "La Specola" di Firenze), un primate, quindi: l'essere che per aspetto più somiglia all'uomo e che la teoria dell'evoluzione ci fa immaginare come parente prossimo meno evoluto della specie umana.
La scritta è in carattere imperiale (Augustea), squadrata, rigida, del tipo da intagliare nel marmo. Inevitabile notare in essa un riferimento diretto e inequivocabile ai fasti dell'Impero Romano, reso ancor più evidente dall'uso della lerrera V per la U.
Mettere insieme due elementi tanto distanti sia nel tempo, che nello spazio, ma ancor di più nel concetto: un riferimento a un'epoca storica determinata del tutto estranea a una teoria scientifica dell'800, un elemento dello splendore di una delle fasi più alte, celebrate e per noi familiari e proprie della storia, con un essere poco evoluto e, inoltre, estraneo alla fauna europea, etc., voleva creare uno strano senso di incomprensibilità e forse anche di disorientamento.
Lo sguardo della scimmia ricorda quello umano, il suo volto non appare aggressivo, ma piuttosto stupido, benché quasi contraddistinto da un vago anelo verso la comprensione delle cose. Un animale del genere suscita anche una certa tenerezza, per quanta diffidenza si possa avere verso di esso, ma pure un senso di disagio al pensiero di essergli più simili di quanto siamo soliti pensare e non necessariamente più "fortunati". La relazione di tale animale con il personaggio è plurima, potrà arrivare a questa conclusione chiunque si prenda la briga di leggere il testo e non vorrei qui esplicitare ulteriormente a cosa mi riferisco. Stride anche l'immagine dell'animale con la parola "fuoco" primo dei più importanti passi dell'uomo verso lo sviluppo della tecnica.
La scritta "imperiale", invece, rimanda ad altri elementi tipici e propri del personaggio protagonista dell'opera (Andrea) che è assai consapevole (disperatamente consapevole) delle proprie origini culturali e in un certo senso amante del suo passato storico che ha fin troppo presente. Egli è, in un certo senso, dolorosamente "crocefisso" tra epoche ormai troppo distanti e i cui elementi non riesce a comporre in modo uniario e sensato, ma il cui sacrificio, abbandono, la progressiva perdita nell'oblio, lo atteriscono e dilaniano di rammarico.
Uno degli espedienti utilizzati per creare un personaggio che in modo sintetico rappresentasse l'epoca attuale e la dubbiosità perenne (se mi si passa ora l'esemplificazione troppo audace del concetto che avrei voluto esprimere nel testo) nella quale si è immersi volenti o nolenti, è stato proprio quello di creare un soggetto che cercasse (in modo che forse arriva al risibile) di ricondurre i suoi accadimenti a storie e teorie perse in un percorso umanistico di oltre duemila anni e con esse tentasse, inutilmente, di risolvere i problemi concreti che va affrontando ed interpretarli.
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