Vorrei realizzare una serie di racconti su un unico tema, è da tempo che pensavo di metterci mano e propongo qui le prime bozze di questo nuovo lavoro che spero di poter sviluppare adeguatamente in futuro.
PREMESSA
(e spiegazioni propedeutiche)
Sto per rivelare informazioni ignote a
chiunque e secondo alcuni non dovrei farlo. Mi riterranno un traditore, ma non
mi importa. Comunque sia è molto probabile che chi leggerà lo scritto non
crederà al suo contenuto e lo relegherà tra le fantasie, quindi il danno sarebbe
alla fin fine esiguo. Ciò nonostante per me significherebbe quantomeno un
processo, e non è da escludersi una condanna, e questo anche se non metterò in
pericolo nessun mio collega, e non farò alcun nome, né darò piste che possano
portare all’identificazione di chicchessia. Il riserbo in cui è relegato il
mondo a cui anche io appartengo, ha qualcosa di davvero sinistro e l’imposizione
che si subisce da secoli è per me divenuta intollerabile. Non ho mai avuto la
minima simpatia per la maggior parte dei miei colleghi e ho deciso di
ribellarmi alle loro regole miserabili e violente. Mi chiamano “La Temperanza”,
per mantenere l’anonimato userò questo nome, cosa che non ho mai fatto, e
parlerò di me in terza persona, raccontando da esterno tutte le vicende, anche
quelle che ho vissuto direttamente.
L’obiettivo
sommo, per gli alchimisti, anche se, come è noto, non l’unico, è raggiungere
l’immortalità. Possibilmente accompagnata dall’eterna giovinezza. Traguardo
massimo per l’essere umano. Checché se ne possa pensare, alcuni di loro ci sono
riusciti e non esiste un unico modo per arrivarci. A seconda del cammino
intrapreso, i risultati, gli effetti, possono differire anche di molto.
Ancor più
sorprendentemente, non tutti gli alchimisti sono ossessionati da questo scopo,
alcuni ritengono, infatti, che non saprebbero sopportare una vita perpetua, e
anche quando sarebbero in grado di conseguire tale risultato, preferiscono
seguire i ritmi della natura.
Gli
alchimisti oggi in possesso di una formula del genere sono oltre un paio di
dozzine, ma non si può escludere con certezza che ci siano nuovi o persino
vecchi appartenenti al gruppo finora sconosciuti.
Essi, in
genere, ma non necessariamente, si conoscono e riconoscono tra loro, (e solo
tra di loro) anche e banalmente perché, avendo un interesse comune, non è raro
che si incontrino nei pochi posti dove esso può essere coltivato seriamente,
per esempio determinate biblioteche. Il fatto di vedere taluni volti
ripetutamente nel corso di decenni, e poi il vederli riapparire per il mondo
pressoché immutati nel corso di secoli, dissipa ogni dubbio rispetto al fatto
che i soggetti a cui appartengono siano riusciti nel loro scopo. Questa identificazione
è possibile con certezza solo a chi abbia una vita eterna, gli altri molto
difficilmente possono accorgersi di qualcosa.
Ogni
alchimista ha, ovviamente, a disposizione solo l’arco della propria vita per
raggiungere il traguardo. È quindi ovvio che, la maggior parte di chi si
cimenta, fallisce e muore prima di approssimarsi a un risultato che gli dia,
quantomeno, il tempo necessario per proseguire e perfezionare le scoperte.
Tutti gli
alchimisti, anche quelli di maggior successo, continuano, nei secoli, a
studiare, posto che nessuno ha una ricetta che sia immune da miglioramenti. E
devono, inoltre, occuparsi delle sorti successive alla fine del mondo e della
storia umana, questione che li occupa e preoccupa in modo angosciante.
Benché
studino e ricerchino in genere alacremente e con impegno per tutta l’esistenza,
raggiunto il traguardo principale, non pubblicano più nessuno dei loro
risultati, quindi le uniche fonti a disposizione di chi intraprende il cammino
ex novo, sono solo studi anteriori alla realizzazione dell’opera e mai testi
che ne illustrino uno dei vari procedimenti completi. Ciascuno deve arrivare da
sé al risultato cercato, iniziando, tutto sommato, dagli studi di chi ha
fallito o non ha completato.
Tutte le
culture del globo hanno alchimisti, ma non tutte hanno un alchimista immortale
nelle loro file, alcuni posti, invece, hanno una concentrazione
straordinariamente maggiore di essi. Ciò dovrebbe dipendere unicamente da
questioni culturali e dal fatto che i testi lì a disposizione, o l’interesse
generale, vuoi per la materia, vuoi per l’ottenimento dell’immortalità, sono
maggiori che in altri posti.
Ogni
alchimista segue il suo personale percorso e metodo per la fabbricazione di ciò
che gli conferisce il dono dell’immortalità, cosa che parrebbe portare alla
creazione degli oggetti o delle sostanze più disparate: cristalli, liquidi da
ingerire o dove immergersi, creme, maschere, fuochi, polveri, persino luoghi, e
altro ancora, ma non può a priori escludersi che alcuni di loro abbiano
trovato, autonomamente, un procedimento comune, o analogo, per ottenere il
prodotto finito che permette loro di vivere in eterno.
Comunque sia
nessun immortale sa nulla di specifico e preciso riguardo alle tecniche degli
altri, posto che assolutamente tutti conservano il più maniacale e assoluto
riserbo sui loro metodi e non ne parlano con nessuno, neppure con i colleghi. I
meno abili non hanno nulla da dire a quelli più abili, e questi nessun
vantaggio ad ascoltarli e tantomeno ad insegnare.
Un alchimista,
in genere, vive attanagliato da molte paure.
La reciproca
conoscenza, tra alchimisti di diverso rango e fortuna, non suppone rischi per
chi più sa, poiché chi più sa è al contempo più forte di chi sa meno, non può
quindi subire un attacco da essi o essere costretto a rivelare quello che
sappia con la violenza. In genere essi sono comunque estremamente diffidenti
anche tra loro.
Le
differenze tra alchimisti dipendono solo dal fatto che i risultati ultimi
possono variare anche di molto quanto a effetti e potere e ogni formula può
darne di più o meno estesi. Le ricette migliori conferiscono immortalità e
ringiovanimento graduabile a piacere dall’alchimista, addirittura di adottare
forme a piacimento. Le altre hanno limiti maggiori: alcune permettono di
ringiovanire con meno facilità e discrezione, altre non permettono praticamente
il ringiovanimento, ma solo una sostanziale stasi del deterioramento della
materia.
Ad ogni modo
va precisato che una vera formula d’immortalità non frena meramente l’invecchiamento
allungando la vita, ma inverte il deterioramento progressivo del fisico, anche
se di poco, e riporta l’organismo a uno stato anteriore a quello in cui si
trova. Se non c’è questo effetto, anche qualora la scoperta porti una
sostanziale e definitiva immutabilità della persona, egli non potrà affermare
di aver raggiunto una formula valida e non sarà a pieno titolo nel gruppo degli
alchimisti immortali. Avrà comunque il vantaggio di un, addirittura pressoché
infinito, serbatoio di tempo per continuare le sue ricerche. Di ricette dubbie
ce ne sono varie, ma non c’è chiarezza rispetto ad esse.
Pochissimi
alchimisti vivono eternamente e con aspetto giovane, i più possono proseguire
la loro esistenza in modo perpetuo conservando approssimativamente l’aspetto di
quando hanno completato la ricetta, senza invecchiare di un giorno (o meglio
ringiovanendo di pochissimo ogni volta che facciano uso della loro scoperta).
Per questo la maggior parte degli alchimisti sogliono essere anziani, o
addirittura decrepiti, di aspetto. In genere infatti per ottenere dei risultati
apprezzabili ci vogliono decenni interi di sperimentazioni, ed è raro il caso
di chi sia approdato all’immortalità, anche se non alla eterna giovinezza, ad
una età compresa tra i trenta e i sessanta anni, e comunque mai sotto i trenta.
Da ciò si
deduce che i migliori alchimisti, e quindi i più importanti e prestigiosi,
hanno aspetto di ragazzi e non di anziani. Un alchimista maturo, ma non
anziano, avrà il vanto, su questi ultimi, di essere approdato al raggiungimento
della vita eterna in un arco di studi più breve che gli altri, benché anche
loro con il limite di non aver trovato la formula che comprenda il
ringiovanimento.
Si deduce
che essere giovani, nel loro gruppo, è comunque segno di maggiore prestigio e
rispetto.
Gli
alchimisti in possesso della formula più completa hanno quindi aspetto di
ragazzi, vivono in un arco di vita di solito compreso tra i sedici e i trenta
anni, poi tornano indietro, più o meno a piacimento, anche lì a seconda delle
loro abilità e della facilità d’uso del loro ritrovato. Alcuni possono, più o
meno, assumere l’aspetto che preferiscono a piacimento.
Gli
alchimisti più giovani hanno anche il vantaggio di poter usare meno
frequentemente il procedimento o il farmaco per la vita eterna, posto che
possono far trascorrere molti anni e maturare restando in forze e poi decidere
di tornare al punto che preferiscano del loro sviluppo. I più decrepiti,
invece, posso aver bisogno di usare la loro formula mensilmente e persino
settimanalmente.
La formula
non è assunta una sola volta e per sempre nella vita, ma l’operazione deve
essere ripetuta a scadenze che possono però variare di molto, da intervalli di
poche settimane a secoli.
Un
alchimista non si dedica solo all’immortalità, ma, nel corso dei secoli, e a
seconda delle sue doti, sviluppa anche altre scoperte, tra cui soprattutto
trasmutazione degli elementi.
Tutti gli
alchimisti sono, per tendenza tipica causata dalla loro scoperta, estremamente
edonisti ed egoisti, e per questo non salvano nessun altro essere, tranne loro
stessi, dalla morte: non vorrebbero mai correre il rischio di rinunciare alla
loro comodità personale per il bene di nessuno. Ma solo i migliori spendono la
vita in modo pressoché spensierato e davvero piacevole. Molti sono, infatti,
costretti a una serva e continua elaborazione della loro ricetta, cosa che
limita molto la loro capacità di azione, movimento e libertà, nonché salute
mentale. È per questo che la formula è da giudicarsi migliore, oltre che per
l’effetto che sviluppa, anche per una più breve e snella elaborazione e
facilità d’uso.
Alcuni
anziani, vuoi anche per difficoltà fisiche, devono stare costantemente
all’opera per non perdere la propria vita, e alcuni sono da secoli alla ricerca
di miglioramenti che permettano loro di ringiovanire progressivamente sino a
uno stato che li metta fuori pericolo, ma non li trovano. Essi sono molto
scherniti dagli alchimisti di maggior successo e talento, che li vedono come
dei miserabili e degli imbecilli, relegati a una perenne esistenza da “schiavi
dei fornelli” (così vengono chiamati). Costoro a volte non vengono neppure
presi in considerazione e interpellati qualora ci sia da prendere una decisone
comune.
Un
alchimista può essere ucciso e decedere come qualunque altro essere umano, è
solo molto più resistente alla morte, vecchi compresi. È necessario un forte
trauma per farlo fuori: taglio della testa per esempio. Possiede doti
eccezionali come una sorprendente resistenza al soffocamento o l’annegamento,
ed è del tutto immune ai veleni e alle contaminazioni.
Nel caso
degli alchimisti giovani il loro vigore è straordinario, posto che la formula
suole, in genere, conferire al corpo il miglior tono che esso sia programmato
ad avere.
Con la
conquista dell’immortalità, per una inspiegabile tendenza insita forse nel
processo stesso, l’alchimista diviene terrorizzato dalla possibilità di perdere
la propria vita, e questa assume un valore mille volte maggiore di quello, già
incommensurabile, che ha per ogni essere umano. Ogni alchimista, quindi,
protegge se e la sua vita in un modo che ha del maniacale o paranoico e con
ogni mezzo e da ogni cosa. Questo pensiero lo assilla costantemente ed evita
ogni tipo di rischio inutile in modo pressoché fobico. Non è neppure pensabile
che un alchimista immortale si sacrifichi per nessuna ragione, causa, ideale,
sentimento.
Oltre alla
vita un alchimista è un maniaco conservatore della sua integrità fisica,
giacché, seppure la ricetta lo rigenera in modo anche stupefacente da
cicatrici, bruciature, ferite e rotture, nel corso dei secoli, l’accumularsi di
quelle troppo profonde per rigenerarsi, lo renderebbero inguardabile e
sofferente.
L’esorbitante
importanza della propria vita per un immortale lo spinge, al contempo, a
sottostimare quella degli altri esseri umani, che ormai vede come distanti e
appartenenti a un’altra specie animale. E per salvare la sua vita o evitare che
venga messa in pericolo sono, in genere, ben disposti a ricorrere all’omicidio.
Alcuni lo sono anche per mere convenienze di minor importanza.
Un
alchimista immortale desidera non dare nell’occhio e non far appurare a nessuno
la propria identità, che assume e varia insieme al paese e ai luoghi di
residenza in modo da non destare sospetti e a piacimento.
Evitano di
dover entrare in luoghi, tipo prigioni, dove potrebbero essere costretti a
spendere molti anni e forse anche correre il rischio di essere scoperti dai
mortali e magari costretti a svelare la formula.
Essendo
soggetti alle leggi fisiche comuni agli esseri umani, evitano anche di
infilarsi in luoghi quali grotte o sommergibili, dove potrebbero correre il
rischio di essere confinati per eoni e non riuscire a uscire, o addirittura di
morire a causa dell’impossibilità di realizzare la ricetta per il
ringiovanimento qualora ciò si rendesse necessario.
Un
alchimista non parla mai a nessuno di nulla che concerna la propria formula,
tiene tutto quello che la riguarda occulto, e soprattutto il fatto di averla e
spesso anche che esista la possibilità di ottenerla. La loro reticenza a
diffondere, anche tra loro, le proprie scoperte è motivata da varie ragioni. I
più pragmatici, ma forse anche ipocriti, confessano solo che non gli conviene
che la situazione scappi di mano e siano in molti ad accedere a questi segreti,
posto che, altrimenti, temono che presto si troverebbero immersi in un’umanità
sconfinata che non potrebbe avere posto e sopravvivere con un minimo di agio
sul pianeta. Il che vanificherebbe lo scopo delle loro ricerche e creerebbe una
situazione infernale per tutti. Più conoscono una cosa più rischi ci sono che
essa si diffonda. Ma altra parte della verità è che agli alchimisti piace
sentirsi superiori agli altri.
Difatti,
sebbene per la stretta sopravvivenza un alchimista non abbia bisogno, ma anche
qui ci sono variabili legate al grado qualitativo della formula scoperta, di
null’altro per sopravvivere che degli ingredienti necessari a portare avanti il
proprio procedimento alchemico, (non hanno, per dirla chiaramente, nessuna
necessità di mangiare e bere o dormire, per esempio) continuano a svolgere
quotidianamente tali attività mondane per puro edonismo o estetica e non
vorrebbero mai rinunciarvi per salvare degli appartenenti alla razza umana.
In effetti
assolutamente tutti gli alchimisti sono sconfinatamente egoisti, e per ciascuno
di loro l’unica cosa che conta, è la loro formula segreta che, tutti, hanno
scopeto in solitudine perfetta e con fatiche tali da aver segnato per sempre il
funzionamento della loro psiche. Ciò abilita in loro solo un diffidente e
distante rispetto per chi sia arrivato allo stesso traguardo e per nessun
altro. Praticamente tutti gli alchimisti che approdino alla scoperta reagiscono
istantaneamente allo stesso modo: chiudendosi al resto degli esseri umani.
La loro
maniacale e esagerata diffidenza per il genere umano, la superbia, e un certo
disprezzo più o meno velato per tutti coloro che non abbiano raggiunto la
formula, e persino da parte di quelli che sono in possesso di migliori ricette
verso coloro che ne hanno di peggiori, delinea un comportamento e un modo di
ragionare e vedere il mondo, tipico dell’alchimista. Egli inoltre, in genere,
non ama più nessuno, non ha amici o relazioni stabili, e meno che mai tra gli
umani, sapendo che dovrebbe subire il distacco a proprie spese o dover optare
per infrangere il proposito di non diffondere e condividere con nessuno i
risultati della formula.
Tra
l’opzione di lasciar morire un amico, un fratello o l’amata della prima vita
mortale e quella di salvarli condividendo gli effetti del risultato (sempre
beninteso senza mai svelare la formula), pare che mai, nessuno abbia scelto la
seconda opzione, ma ci sono storie discordanti e leggendarie. In ogni caso se
ciò si verificasse e l’alchimista decidesse di salvare qualcuno, l’amico o
l’amata, sarebbero in eterno assolutamente dipendenti delle abilità del loro
alchimista di riferimento, cosa che, si immagina, nel volgere di qualche secolo
porterebbe, e sempre e solo qualora la relazione non si deteriorasse in modo
irrimediabile e loro non venissero abbandonati al loro destino mortale, il non
alchimista a essere più un servo di lui che altro.
Svelare la
formula è invece vietato e comporta la morte sia del beneficato che
dell’alchimista.
La
propensione, non solo ad isolarsi ed essere oltremodo schivi col resto del
genere umano, ma anche a sfruttarlo o usarlo unicamente con fini utilitaristici
(produrre beni di consumo, servirli, copulare), è maggiore in chi ha scoperto
una formula in epoche più risalenti. Difatti seppure tutti gli alchimisti
“valgono uguale”, posto che hanno solo l’arco di una vita per trovare la
formula e quindi tutti hanno raggiunto un risultato analogo in modi e tempi
analoghi, è certo che coloro che continuano a vivere oggi da epoche più antiche
sfruttano la loro scoperta da più tempo e si sono “disumanizzati” da più tempo
e più profondamente.
Sarebbe però
un errore pensare che il processo sia progressivo ed inarrestabile: arrivati ad
un certo punto tutti si stabilizzano e si può pensare che, verosimilmente, non
ci sarebbero differenze tra un ipotetico alchimista dell’antico Egitto, uno
romano, e probabilmente già oggi, uno napoleonico.
È per questo
che pur non essendoci una “società di alchimisti” vera e propria, salvo quanto
specificato oltre, tra loro non vigono criteri di superiorità o prestigio
basati su “anzianità storiche”, ma solo una sorta di rango creato in base
all’accuratezza e l’effetto della formula.
Tra l’altro,
riguardo all’anzianità, c’è da dire che un alchimista è e rimane un essere
umano, e con ciò le sue capacità mnemoniche, pensiero, capacità fisiche, seppur
tenute sempre al suo massimo livello e rinnovate costantemente dall’uso della
ricetta, rimangono limitate, sicché essi perdono, col passo del tempo, in modo
pressoché completo, la memoria di epoche molto distanti e ovviamente persino di
identità che, in esse, loro stessi abbiano adottato, nonché di persone
conosciute, avvenimenti occorsi e tutto il resto. La consapevolezza di questo
processo di oblio rende, soprattutto i più antichi, oltremodo compassati e poco
propensi all’entusiasmo e all’emotività.
Sebbene gli
alchimisti non solo non si frequentino assiduamente e non sono legati, in
genere, da vincoli di amicizia o solidarietà speciali, ma non abbiano neppure
chiaro essi stessi il loro numero esatto, col tempo s’è creato una specie di
“Circolo” al quale molti di loro hanno aderito.
Esso si
riunisce solo in determinati casi o ciclicamente ogni molti anni, e l’unico
scopo di esso è quello di controllarsi gli uni agli altri in modo da assicurarsi
che nessun alchimista conosciuto, appartenente al circolo o meno, faccia dono
mai della propria formula a nessuno. La pena per chi svela o riceve la ricetta
è la morte, ed essa è comminata da una giuria del circolo e dal suo presidente.
Fino ad ora sia il Circolo, sia, quando non era ancora stato istituito, altri
alchimisti sciolti, hanno sempre scongiurato ogni rischio e represso
infrazioni.
Il fatto di
entrare in possesso della formula per altra via che non siano le ricerche
personali, vale a dire sia per dono che per furto per esempio, comporta la
soppressione fisica immediata del non alchimista sia quale sia la sua storia,
ricchezza, fama, prestigio, sesso, o circostanza, e un processo per
l’alchimista, qualora sia il circolo ad intervenire, o l’uccisione sommaria di
lui da parte di un collega che sia a conoscenza dei fatti, se gli riesce.
Anche chi si
fa rubare la formula risponde di una grave colpa secondo le regole del Circolo,
e ciò stimola anche la segretezza e prudenza. Non è però considerato illecito
evitare la propria soppressione fisica svelando la formula, posto che la vita è
il bene sommo e non è pensabile che essa venga sacrificata, ma si giudicherà
invece la ragione che ha permesso a qualcuno di ricattare l’alchimista,
minacciarlo e estorcergli il segreto.
Va da se che
qualora un mortale entri in possesso della formula per una via che non sia la
propria ricerca personale deve essere soppresso, cosa della quale si incarica
sempre il Circolo. Va soppresso anche chi ruba solo il prodotto finito e non
saprebbe rifarlo, anche qualora esso gli conferisse solo un prolungamento della
vita, dato che, come detto, non è ancora mai stata trovata una formula che
salvi dalla morte in una unica assunzione.
Tra gli
alchimisti gira la voce e il sospetto che alcuni di essi potrebbero non essere
i diretti scopritori della formula, ma persone che hanno soppresso il legittimo
proprietario e ne hanno appreso ed usurpato i segreti. Quindi tutti si guardano
con diffidenza, ma specialmente sono visti con sfiducia coloro che
appartenevano a famiglie ricche e nobili, dato che avrebbero potuto pagare le
ricerche e poi appropriarsi dei risultati senza dare scampo al vero alchimista.
Questa diceria circonda soprattutto uno di essi, un nobile napoletano del diciottesimo
secolo.
La ragione
della loro maniacale contrarietà ad allargare il molto esiguo gruppo di eletti,
neppure dando piste o suggerimenti a coloro che stanno studiando sulla loro
formula, e neppure con persone di fiducia o amate, è motivata anche dal fatto
che, secondo una comune opinione, chi entrasse a conoscenza delle stessa senza
il necessario percorso e la relativa serie inaudita di sforzi, sacrifici e
sofferenze, non darebbe il giusto peso ad essa e in breve la voce correrebbe e
gli immortali diventerebbero presto un numero così spropositato da rendere il
pianeta invivibile. Ciò forse non avverrebbe mai, ma loro hanno la fobia di
questo scenario, dato che vivere sarebbe una sofferenza, l’accaparramento di
alcuni degli ingredienti necessari impossibile, e paradossalmente sarebbero
costretti a rinunciare all’unica cosa a cui tengono: la vita.
Non tutti
gli alchimisti aderiscono al Circolo. Alcuni, anche di quelli di maggior rango,
almeno due dei più importanti e altri quattro più anziani, ma validissimi, ne
restano fuori e diffidano di questo sodalizio e dei suoi presupposti specie
dopo il cambiamento del 1500. Lo fanno per ragioni anche opposte: alcuni sono
meno ostili verso l’umanità e i loro ex fratelli, altri ancora più schivi della
media, credono di non aver bisogno di nessuno e di potersela cavare da soli, o
sono troppo misantropi o superbi per sopportare vincoli.
Comunque gli
immortali del Circolo hanno da tempo istituito l’usanza di contrassegnare ogni
alchimista, dentro o fuori del sodalizio, con una carta dei tarocchi. Essa
viene estratta dall’interessato da un antico mazzo e qualora il soggetto si
rifiuti di prendere parte al rito, la si estrae per lui lo stesso e viene
chiamato col nome della carta anche contro la sua volontà.
La carta
dell’alchimista che muore viene rimessa nel mazzo e può essere estratta di
nuovo, in tal caso il nuovo possessore prende il suffisso di secondo, terzo e
così via. Le carte oggi assegnate sono 27 delle 78. Una leggenda senza
fondamento alcuno dice che quando il numero di immortali sarà quello di tutte
le carte del mazzo, il mondo finirà e gli alchimisti con lui, a meno che non
abbiano trovato altre formule per vivere fuori dal mondo.
Tra gli
alchimisti non ci sono donne.
La
provenienza geografica degli alchimisti è varia, dei 27: (ci si riferisce al
nome attuale del posto di origine anche se non sempre è certo, o l’aria
geografica è oltremodo vasta. Ci sono spesso indicazioni vaghe su tutto) 6 sono
italiani (uno viene però dal Nuovo Mondo), 5 mediorientali, 2 africani, 2
ebrei, 2 spagnoli, 1 tedesco, 1 islandese, 1 scandinavo, 1 inglese, 1 scozzese,
1 irlandese, 1 russo 1 cinese, 1 indiano, 1 ceco. Di essi 21 appartengono al
circolo e 6 no. Dei sei 2 sono giovani e 4 no. Dei 2 giovani uno è italiano e sono
io. Dei 5 più maturi un altro è italiano, ha l’aspetto di un quarantenne ed è
un nobile napoletano.
Il più
antico è l’africano, ma non è tra i più giovani, il secondo il cinese, il terzo
un arabo (di parecchio meno antico degli altri due e non appartiene al
Circolo), il quarto, della stessa epoca del terzo, è un ebreo. Spesso non si
sanno le epoche precise, specie dei più antichi, che sono persone oltremodo
schive e infide. Loro quattro non possono vantare, da questo punto di vista,
benemerenze particolari tranne per il fatto di aver scoperto la loro ricetta
molto tempo fa e con tecniche e strumenti assai rudimentali e di avere un’idea
più approfondita della storia degli alchimisti. Infatti essendo sulla terra da
molto tempo hanno una visione più dettagliata della storia degli immortali e su
di essa: quanti e quali sono morti e perché, quanti processi si sono tenuti e
dove, quanti dispersi, quanti omicidi, conoscono decine o centinaia di storie
ed episodi del genere tra i più antichi. Tuttavia le storie non sono
verificabili, e molte affondano nella leggenda. Hanno appunti (come ogni
alchimista), altrimenti non ricorderebbero molto delle epoche remote. Li
tengono nascosti e ne parlano di rado e solo su richiesta motivata, per
rendersi preziosi e necessari.
Il più
recente è il tedesco, diventato immortale durante al seconda guerra mondiale,
ha una formula di eccellente potenza.
Il leader
del Circolo è un italiano con aspetto da ragazzo, considerato “recente”, è del
1500, prima di questa epoca si è considerati “antichi”. Nel 1500 ci furono
importanti cambiamenti nella società alchemica.
Solo in un
caso due della stessa famiglia e epoca sono riusciti entrambi ad arrivare a un
risultato comune, erano due fratelli italiani del tredicesimo secolo, uno dei
due è morto.
Le 27 carte
estratte sono (per ordine di potenza della formula):
1. Il
fante di coppe: (il leader, italiano, ragazzo, formula recente 1500 c.)
2. Il cavallo di bastoni: (tedesco, ragazzo, formula recente 1940 c.)
3. Il
quattro di danari: (inglese, giovane, formula recente inizio 1900)
4. Il
sei di spade: (cinese, maturo, antico)
5. Il
cavallo di coppe: (russo, mezza età, antico)
6. Il
re di danari II: (ceco, mezza età avanzata, formula recente)
7. Il
matto: (mediorientale – Turco, anziano, antico)
8. Il
cinque di bastoni: (mediorientale- Arabia, mezza età avanzata, antico)
9. Il
dieci di coppe: (mediorientale- Marocco, anziano non troppo, antico)
10. L’otto
di bastoni: (mediorientale- Caucaso, anziano, recente)
11. Il
due di danari: (italiano, anziano, antico)
12. Il
due di spade: (italiano, anziano, antico)
13. L’imperatrice:
(scandinavo, anziano, recente)
14. Il
fante di danari: (ebreo, anziano, antico)
15. Il
due di bastoni: (africano, anziano, formula antica)
Da qui in
poi gli alchimisti sono davvero molto anziani o decrepiti:
16. La
torre (indiano)
17. L’appeso
(africano)
18. Le
stelle (italiano)
19. Il
bagatto (scozzese)
20. Il
tre di spade (ebreo)
21. Il
sei di spade (spagnolo)
Fuori dal
Circolo, e senza aver accettato il nome rimangono:
22. La
temperanza: (italiano, giovane, formula antica)
23.
L’asso di bastoni (irlandese, giovane, recente 1700 c.)
24.
L’asso di cuori (italiano, mezza età, formula recente)
25. Il
cinque di danari (arabo, non troppo vecchio, antico)
26. Il
nove di bastoni (islandese, anziano, antico)
27. Il
cavallo di coppe (spagnolo, non troppo vecchio, formula non recente 1400 c.)
A quanto
pare sono morti, o stati uccisi, circa dieci alchimisti immortali nel corso
della storia umana. Di almeno cinque soppressioni possiamo essere sicuri, anche
se alcune circostanze potrebbero essere leggendarie. I processi conosciuti sono
diversi, quelli con condanne a morte solo 3. I dispersi dati per morti sono 5
circa. Le persone entrate in possesso della formula senza diritto e
successivamente soppresse sono una decina, attualmente non ci sono carichi
pendenti. Gli umani uccisi dagli alchimisti per tutelarsi o proteggersi sono
innumerevoli.
Un solo
alchimista si è suicidato nella storia del mondo.
Se tutto ciò fosse vero in teoria tu dovresti essere il prossimo a sparire :)
RispondiEliminaChe tristezza, molto meglio essere mortali, non vi è dubbio..., se fosse vero, sono pietrificati dal terrore, ma immagino che sia un romanzo, comunque bravo.
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