Quando Radagasto gettò lo scudo,
piantò la spada a terra e si tolse casco, occhiali e guanti, stava da solo. Non
che fosse qualcosa di straordinario per un tipo schivo e meditabondo come lui,
ma stavolta per chiunque ci sarebbe stato un grande spettacolo da contemplare. Sbuffò
per il caldo, estrasse una bandana dalla tasca per asciugarsi il sudore dalla
faccia. La carcassa del drago giaceva inerte occupando lo spazio di una
portaerei, smisurata, colossale. Aveva realizzato l’impresa che nessuno era
riuscito a compiere, e aveva fatto tutto da solo, forse un po’ nel suo stile,
ammesso che uno come lui potesse affermare di avere “uno stile”. Ai voglia a
lottare con armi moderne, sparare contro la bestia con ogni tipo di proiettile,
invenzione e potenza di fuoco, tutti gli altri avevano fallito, non avevano
fatto altro che peggiorare le cose, l’avevano fatto arrabbiare davvero. Era
iniziato tutto anni prima, successo come entrando all’improvviso in un incubo
che immediatamente intrappola tutti e diviene una realtà unica e inesorabile.
Di colpo, da un giorno a un altro, appare una creatura crudele, potentissima,
invulnerabile, che inizia a distruggere tutto quello che vuole, a suo comodo e
senza possibilità di scampo per nessuno. Quello diventa il quotidiano di tutti,
pure di gente pacifica fino alla noia, e non ci si riesce a far nulla. Al drago
piace e interessa solo quello: devastare e uccidere. Si accaniva ora qua, ora
là, copriva in poco tempo un’aria vasta quanto un continente, imperversava specialmente
per l’Europa, ma poteva anche decidere di andare più lontano ancora. Quando
appariva tutti si disperavano e da tempo ormai iniziavano a sperare solo che si
allontanasse il prima possibile e portasse il suo fuoco distruttore e la sua
maledetta coda da qualche altra parte. Si sperava solo che facesse del male ad
altri, distruggesse altri posti. Ciascuno si arrovellava, per campare, puntando
nel suo intimo sulla morte e sofferenza altrui. All’inizio no, avevano tutti
fiducia negli eserciti, nella scienza, nella tecnologia: proiettili, per
cominciare, poi cacciabombardieri e contraerea, poi razzi, infine onde,
microonde, radiazioni, qualsiasi diavoleria, ma nulla di nulla, nessun
risultato. Quello dava fuoco a tutto e basta, non si scalfiva neanche un po’. Il
suo fuoco liquefaceva il metallo e la pietra o la sgretolava, la sua coda si
avvinghiava ai palazzi, ai grattacieli e li frantumava, la punta di essa
penetrava come una lancia contro qualunque cosa la scagliasse. Milioni di
vittime, migliaia ogni giorno. Dopo un primo periodo quasi non si combatteva
più, tutti si limitavano a fare scongiuri, piangere, disperarsi, parlare a
bassa voce, chiamare o alludere alla bestia coi nomi più indiretti e obliqui,
come se quella potesse sentirli, quando menzionata direttamente, e correre a punirli
per le loro opinioni e il desiderio che crepasse. Iniziarono a fioccare
leggende, storie, teorie parto della disperazione e interpretazioni
escatologiche o ciniche di quello che stava succedendo. Sui draghi nella storia
umana si sono create miriadi di storie; nessuno sapeva quali fossero vere e
quali false. Oltre a quello che si poteva osservare direttamente, nessuno aveva
la capacità di orientarsi. A partire dal nome, tutto era imprecisato,
ingarbugliato, vago. Ognuno aveva dato un nome alla bestia, c’era chi lo
chiamava semplicemente “il drago” o “la bestia”, chi “il gran verme”, chi
“l’immane distruttore”, aveva decine e decine di epiteti che ricordavano altisonanti
titoli nobiliari o piuttosto nomi simili a quelli di pugili famosi e letali:
“il flagello d’occidente”, “il grande devastatore”, “la maledizione alata”, e
si potrebbe continuare per pagine e pagine in tutte le lingue d’Europa e anche
del resto del mondo. Alcuni iniziarono persino a dire che egli aveva un nome
suo proprio che portava sin dalla notte dei tempi, e che lui era sempre
esistito, altri dicevano addirittura di conoscerlo, il suo nome, ma lì non
c’era accordo. Ad ogni modo si era imposta, così, senza alcuna evidenza certa
del perché e del per come, la linea che voleva si chiamasse Tristiferion, o
Tristiferior, o Tristiferione, forse in assonanza col greco: portatore; unito
alla parola triste: il portatore di tristezza. Altri accorciavano il nome in
Ferion, o Firion, ma più o meno queste erano le varianti più comunemente
condivise come autentiche. Sia come sia, da quando era apparso, quel lontano
giorno in cui la realtà era divenuta un incubo orrendo, non v’era altra
priorità, altro desiderio nel cuore di ciascuno che tornare a quando il drago
non era presente. A tutti nella memoria pareva che quel mondo fosse perfetto
e felice come l’età dell’oro. La sua uccisione, quindi, sarebbe stata la più grande e
magnifica di tutte le notizie, l’avvenimento più sperato e desiderato da
chiunque nel globo e per adesso di ciò era al corrente solo il suo uccisore.
Anche lui, da quando era apparso quel mastodontico rettile alato, aveva
cambiato vita, forse anche lui era impazzito, come tutti gli altri; andava in
giro armato di spada, portava uno scudo che s’era fatto da se. Alcuni dicevano
che un drago può essere ucciso solo in singolar tenzone e da un'arma da taglio
nobile come la spada. E anche lui come molti sapeva decine e decine di storie,
leggende e racconti, teorie, sui draghi e le loro origini, la loro
invulnerabilità, la loro esistenza. Storie di tutti i tipi, molte in conflitto
tra loro, molte dovevano essere delle balle belle e buone. Alcune avevano
origini ancestrali, altre erano recenti, la maggior parte pareva inventata solo
per spaventare e paralizzare il cuore degli ascoltatori, divertire chi le
raccontava col terrore della platea. Era un tema che era tornato di grande attualità,
quello della natura dei draghi, e, come sempre, senza una base ragionevole,
c’era chi asseriva di saperne più di altri, di essere “esperto”. I draghi non
nascono, ci sono da sempre; oppure, sono rettili, nascono da uova colossali;
oppure, sono creature siderali, non respirano, viaggiano da un pianeta
all’altro in cerca di qualcosa da distruggere; e ancora, si sono creati nel
centro della terra, tra magma e fuoco, là sotto ne è pieno, provocano i
terremoti, e quando riescono a trovare un cammino che li porta in superficie
ecco cosa succede; no, nascono sul sole etc. Radagasto sbuffò per la
stanchezza. Stava facendo due passi attorno alle decine e decine di metri dell’immane
carcassa che s’era schiantata contro il campo incolto dove s’era ingaggiata la
battaglia, o piuttosto il duello. Si fermò un po’ a riguardare quando giunse in
prossimità della coda. Prima di perdersi nei suoi pensieri ebbe la freddezza di
rullare una sigaretta, ritrovò la busta del tabacco ancora intatta nella tasca
dove la aveva lasciata. Le dita rispondevano bene, nonostante la paura,
l’eccitazione, il nervosismo, e anche la fiacca e i vari acciacchi. Era più
calmo e placido di quello che avrebbe mai sospettato. Iniziò il cammino
inverso, dalla coda alla testa, guardando il rettile con attenzione. La coda
puntuta, che terminava con una strana e lunga squama nera dai riflessi blu e
sembrava di metallo, come una daga. Poi la lunghissima spina dorsale che si
sviluppava contorta e avvolta in matasse di spire eleganti per decine e decine
di metri, come un’enorme colonia di serpenti. Il corpo, le quattro zampe, le
immense ali da pipistrello ormai rattrappite e chiuse, flosce come la velatura
di un albero di vascello spezzato, ed infine il lunghissimo collo torto e
avvolto e l’immensa testa. Da dove era, quando invertì la marcia, doveva
camminare molto per tornare dall’altra parte, all’altra estremità. Mentre lo
faceva apprezzava i colori della livrea. Le squame che, viste da lontano,
mentre volava, gli davano un imprecisabile colore unitario, erano tutte di tinte
diverse, alternate con una sontuosa geometria cromatica, grosse come tegole, dure
come acciaio, anche di più. Chissà perché proprio quei colori, rosso vivo,
rosso mattone, violette, bluastre e giallognole scendendo verso il ventre. Chissà
da dove venivano, chi gliele aveva date quelle sfumature, che genitori, di che
tipo, quando. Anche lui sapeva tutte le decine e decine di teorie e storie sui
draghi, iniziò a ricordarle. Era uno studioso, sapeva quali venivano dalle
culture antiche, per lo più norrena e germanica, e quali erano interpolazioni o
varianti moderne delle stesse, quali completamente nuove ed inventate e le
classificava tra verosimili e inverosimili. Forse, dopo tutto, al momento
attuale lui era il più grande conoscitore di bestie del genere nel mondo intero,
di certo non solo l’unico ad averne accoppata una, ma anche quello che la aveva
vista più da vicino. Passò in prossimità a dove il drago aveva ricevuto la
ferita esiziale, il sangue era uscito copioso e aveva formato una grossa pozza
da una parte del campo. Gli girò attorno senza toccarla. Forse sorrise
impercettibilmente mentre pensava a che intrico di affermazioni esistesse già
solo rispetto alla natura e gli effetti del sangue di drago. Secondo alcuni
sarebbe corrosivo, secondo altri velenoso, anche solo al contatto; altri invece
dicevano che conferiva forza e poteri smisurati e bisognava ingerirlo; altri
ancora che il bagno nello stesso rende invulnerabili; altri che sia il
contatto, sia l’ingestione di esso, anche in quantità minime, per esempio
leccando una lama che ne sia macchiata o incrostata, faccia comprendere tutti i
linguaggi umani e animali; secondo un’altra versione si diventerebbe capaci di
percepire i pensieri della gente e secondo altri ancora porterebbe alla pazzia
e alla demenza, oppure riparerebbe dall’ultima maledizione del drago. Lui, per
prudenza, non ne voleva sapere di avere doni o perdere il senno o la vita. Era
scuro, denso, di un intensa tinta granata che sfumava nel nero. Quando aveva
infilato la spada e poi l’aveva tirata via era uscito un fiotto copioso, con un
getto a spruzzo lungo e uniforme che gli era passato oltre, ben sopra la testa,
per la pressione. Un fiume si sangue denso come petrolio di Brent. Forse
qualche goccia lo aveva pure investito, ma non se ne era accorto, e di certo
non notava effetti o anomalie, né su di lui, né sulle sue armi, che ne erano impastate.
Proseguì girando comunque a largo di pozza e rigagnolo. Il corpo disteso di
lucertola era alto più di lui ormai, le zampe erano come tronchi, artigliate, e
da lì sotto non distingueva più le creste nere simili a metallo lucido che lo
ricorrevano tutto al centro del dorso. Dopo qualche lungo minuto era arrivato
fino alla testa, tornando oltre a dove era stata piantata la spada che gli
aveva dato la morte. Certo una bella beffa! Resistere a tutto, devastare ogni
cosa, umiliare e prostrare l’umanità per anni rendendo risibili tutte le armi inventate,
le più potenti e sofisticate, e poi perire per un colpo di spada, classico,
banale, una stoccata sola, e data da uno come lui, che non era mai stato
nessuno. E poi, crollare lì, su un campo qualunque, di passaggio tra una città
e un’altra, per essersela presa con un unico poveraccio in viaggio a piedi. E senza
che ci fosse neppure uno straccio di spettatore ad ammirare il duello! Bah, non
mancava certa ironia dopo tutto, schiattare di colpo per aver ingaggiato una
contesa così misera, contro un individuo solo, scalcagnato, una cosa che non
era nemmeno nello stile di quel grande rettile vanaglorioso e tronfio, che
preferiva distruggere in blocco masse di persone, raccolti, eserciti, e grandi
città o borghi, essere sempre in tv e sotto i riflettori. Era stata una morte
stupida! Sì, stupida era la parola appropriata, perché i draghi, e questo lui e
molti lo avevano capito e lo sapevano con certezza, erano creature
intelligenti, estremamente intelligenti e scaltre. Subdole, infide, maligne,
prediligevano la devastazione fisica e la forza bruta, ma erano in grado di
pianificare, ascoltare, interpretare, comprendere. Dotati di sensi e udito
finissimi, secondo alcuni erano anche in grado di comunicare col pensiero. C’era
chi diceva di averci dialogato, e, secondo una teoria che prendeva piede, era
per questa ragione che si conosceva il suo nome proprio, era lui a dirlo a
molti mentre distruggeva tutto: “Io sono Tristiferione il possente, e
distruggerò tutto!”. Molti avevano riferito di aver ascoltato quella frase
formatasi nel loro cervello mentre il drago imperversava. Crudeli all’infinito,
il godimento dei draghi, ammesso che di una specie si tratti e non dell’unico
esemplare, parrebbe essere non tanto, o non solo, quello di provocare macerie e
devastazione nell’immediato, morti e perdite, ma anche quello di suscitare il
terrore, divenire famosi, celeberrimi, e per questo lasciano sempre in vita
qualche spettatore, che possa raccontare le vicende. Così selezionano le
vittime, e spesso ci giocano a lungo prima di finirle. Alcuni giuravano di
averlo sentito e visto ridere mentre distruggeva tutto e gli umani sotto di lui
si disperavano ed urlavano. Amanti della sofferenza altrui, preferiscono golosamente
prendersela coi bimbi, i giovani, per gettare i superstiti nella disperazione
più assoluta facendoglieli seppellire. Preferiscono uccidere persone attaccate
alla vita, benestanti, sane, felici. Non si contano tutti coloro che nella sua
recente attività Tristiferione aveva incenerito o dilaniato. Con calma
Radagasto fece un giro attorno alla testa, era immensa, il suo teschio da solo
quanto sarebbe potuto pesare, o valere? Quanto avrebbero pagato per poterlo
esporre scarnificato, o imbalsamarla tutta la testa? Che muso orrendo! Denti
aguzzi e lunghi come coltelli da cucina, una bocca quasi da coccodrillo, ma spropositata,
rimasta chiusa storta, in una smorfia che aveva del beffardo, con una lingua da
serpente che era ancora parzialmente fuori. Una volta ricevuto il colpo il
drago era rimasto sorpreso, non se lo aspettava, e aveva tirato fuori un suono
sordo, cupo, come di chi si liberi di un bel pezzo di catarro dai polmoni con
un solo sonoro e profondo colpo di tosse. Lui invece aveva gettato una ultima
scomposta e inutile fiammata, rivolta al nulla del cielo. Per un istante vi era
arso e brillato un piccolo sole abbagliate che risplendette chiaro anche nell’azzurro
di un afoso pomeriggio estivo. Poi si era schiantato fragorosamente a terra
senza muoversi più. Certo che era rimasto sorpreso! Secondo alcuni, e forse ora
sarebbe anche possibile dar loro ragione, un drago non solo non è
invulnerabile, ma ne ha anche consapevolezza. Nonostante la loro estrema
intelligenza, alcuni dicono addirittura onniscienza, ignorano cosa di
preciso potrebbe farli perire, ma sapendo che il rischio è minimo, praticamente
inesistente, a volte non se ne curano troppo, pur essendo per natura sempre
diffidenti e vili. Al contempo, nella loro estrema arroganza e vanità, tracotante
fino a divenire noncurante dei pericoli, amano le sfide, soprattutto quelle
dove pensano di poter vincere senza problemi. Tristiferione trattava tutti allo
stesso modo, grandi e piccoli, tanti o pochi: con supponenza e ostentando
superiorità. Non aveva avuto il tempo nemmeno di chiudere gli occhi. Eccolo lì,
ne vedeva solo uno, l’altro era uguale, ma dall’altra parte del capo: aperto spento,
scuro, con una pupilla da serpe, gialla, crudele, inespressiva. No, forse
inespressiva no! Un bulbo oculare come un cristallo, limpido, lucido, ipnotico,
se ne carpiva la smisurata crudeltà e tutto l’odio per qualunque essere vivente.
Ricordò. Una leggenda diceva che è impossibile uccidere un drago, sbagliato!
Un’altra che è impossibile sopravvivere a uno scontro diretto contro un drago,
sbagliata anche questa. Una terza era più enigmatica, diceva che seppure riesci a ucciderlo, il drago ti ucciderà ad ogni modo. Anche questa terza pareva essere
erronea. Radagasto però al riportarla su dalla memoria, si tocco tutto, come se
cercasse indizi di qualcosa che non andava, e conferme di essere ancora in
carne ed ossa. Sì, non c’era dubbio, era andato tutto bene! Era appena un po’
abbrustolito in alcuni punti, i polpacci, le ginocchia scottavano un po’, e
pure gli avambracci, i vestiti ancora fumavano. Aveva preso qualche botta
rotolando e cadendo, ma non c’era dubbio, non stava morendo, nulla peggiorava,
anzi si sentiva tutto sommato in gran forma. Forse meno euforico di quello che
chiunque si sarebbe aspettato, vista l’impresa realizzata, degna di canti, a
dir poco, ma lui sapeva bene di non essere portato per l’euforia. Colpa del
drago se era morto, avrebbe dovuto lanciare subito una fiammata delle sue,
potente e perentoria, definitiva. Lui sarebbe caduto, si sarebbe disfatto tutto
in cenere nel volger di un battito di cuore. Invece aveva tentato di sbruciacchiare
lentamente il malcapitato godendo delle sue urla di dolore, e di afferrarlo con
gli enormi artigli per scarnificarlo poco a poco fino alla morte. Si era
cercato da solo la reazione, e gli era costata la vita. Certo, iniziò a pensare
l’eroe, ora la sua di vita sarebbe molto cambiata, dopo un tale successo, quando
gli altri lo avessero saputo, sarebbe cambiato tutto. Era sempre stato per i
fatti suoi, a studiare, a prepararsi per qualcosa che pareva non avesse senso,
chi lo conosceva lo prendeva pure per matto. Dicevano che vaneggiava,
insistevano nel dirlo anche quando ormai anche tutti gli altri erano impazziti,
per il dolore, per le perdite, l’ansia di vedere apparire il drago. Era cambiato
tutto in poco tempo e da tanti anni. Ed ora di colpo era finito tutto allo
stesso modo. Merito suo! Avrebbe smesso di essere povero! Di essere solo,
ignorato da tutti, trasparente. Solo raccontando la sua storia in tv, o
vendendo la carcassa, o per la gratitudine di tutti gli abitanti della terra,
sarebbe diventato multimilionario, famosissimo. Tutti, alla fin fine, gli
dovevano qualcosa, o meglio, gli dovevano moltissimo, altro che! Fino ad allora
non se lo era mai cacato nessuno, invece! Già a partire dal nome appariva come
un tipo bizzarro, anomalo, suscitava certa ilarità, prese in giro, le trite
ritrite ironie ripetitive di persone senza creatività e ingegno. Era stanco
della gente, ecco perché se ne stava per fatti suoi. Radagasto! Ma che nome è?
Era pure comprensibile che la gente ci motteggiasse su. Una adattamento
italiano di Radagast il bruno, il confratello di Gandalf il grigio, nel Signore
degli Anelli. Il padre era un freak di Tolkien e gli aveva messo quel buffo
nome adattandolo però all’italiano perché non sopportava i nomi di persona che
finiscono per consonante. Era già tanto che non lo avesse chiamato Gandalfo, o
Boromiro! Che schifezza! Ma al padre piaceva questo enigmatico personaggio
rinunciatario, e aveva voluto rendergli omaggio. Glielo diceva sempre fin da
bambino, Radagast era un bel personaggio, che sfugge alla sua missione e si
ritira in pace in contatto e simbiosi con la natura. Certo altri personaggi
erano più famosi, più gloriosi, ma dopo tutto sarebbe stato da pretenziosi
mettere a un umano di oggi, uno che non contava nulla come lui, un nome di
antichi eroi. Il padre era proprio convinto che fossero esistiti davvero. Sarebbe
stato irriverente, nessuno potrebbe mai permettersi di portare un nome come
Boromir, Glorfindel o Denethor. Radagast invece andava bene. E lui aveva preso
anche la sua parte, anche lui si era appartato tutto sommato, tra le sue
passioni, i suoi studi, in certa solitudine. Poi di colpo una avventura in
stile fantasy lo aveva portato a vivere quello che pareva fatto apposta per il
suo nome, ed ora eccolo lì, con quel cadavere immane vicino. Era perplesso sul
da farsi, ancora incredulo anche del suo stesso successo. Guardò attentamente
la pupilla da ofide del mostro, era così spaventosa, ma magnetica. Si pose
delle domande quasi stesse cercandone la risposta nel cristallo oculare. Che
sarebbe successo ora? Che avrebbe dovuto fare? Cercare qualcuno, spiegare
l’accaduto, magari dicendo: “Ho ucciso il drago, venite a vedere, con questa
spada l’ho ucciso!”. E chissà, allora ci sarebbe stato un tripudio, balli,
feste, tanto per cominciare, piccoli onori già lì sul posto, in campagna. Poi
sarebbe arrivata la tv, la stampa, e sarebbe di certo diventato famoso, un
eroe, amato e ammirato. Già si vedeva, tutto ben vestito, ricco e felice, acclamato e rispettato da tutti. Basta lavori precari, basta vagare
insensatamente e dormire in tenda, da adesso in avanti avrebbe viaggiato
comodo, e senza spendere un soldo. Chi avrebbe osato far pagare, o prendere
soldi dall’uccisore del drago? Se anche qualcuno ci avesse provato era certo
che tutti gli avrebbero ricordato che se la sua stamberga era in piedi ed al
sicuro era merito suo e bisognava dare riconoscenza a lui, a Radagasto
l’ammazzadraghi. In un certo senso non è che si sentisse troppo preparato per tanta
popolarità però, gli venne un groppo in gola. Iniziò a sembrargli assurdo non tanto che avesse ottenuto un
successo, quanto il fatto che per avere un po’ di considerazione dagli altri avesse
dovuto attenderlo. Prima nulla di nulla, la maggior parte degli esseri
umani e di certo non i peggiori naviga nell’indifferenza degli altri. A lui? Niente
offerte di lavoro, poche donne, pochi amici, pochi beni. La vita classica di un
piccolo centro, dove tutti conoscono tutti e trattano il prossimo solo in
funzione di quello che possono ottenere da lui. Il mondo è degli opportunisti,
pensò. Quanto più ricco tanti più salamelecchi, e viceversa. Sarebbe stato
proprio squallido dover vedere gente con la quale si incrociava da una vita, ma
che non gli aveva mai mostrato un minimo di cortesia e apprezzamento, venire a
parlare con lui, volerlo conoscere, curiosa adesso, magari arruffianarselo,
fare finta che ci si conosceva da una vita e tutto il resto. Magari i vecchi
compagni di scuola, o peggio ancora le compagne, quelle che non gli avevano mai
prestato attenzione e che andavano a letto con altri. Quelli
con la macchina, quelli alla moda. E adesso, invece, magari interessate! Che era
cambiato tutto sommato? Questo anche lo irritava un po’ dopo
essersi soffermato su quello che gli sembrava il suo autentico significato. Che
triste è la gente! Un colpo fortunato e diventi quello che non sei mai stato
per nessuno; tutti “ti scoprono”, come se non ti avessero mai avuto davanti
agli occhi. Non conta nulla che fossi già da prima disposto a lottare
coraggiosamente! A lui gli avevano sempre detto che era da matti girare bardato
così, con la spada, nella speranza di farla finita col grande distruggitore
laddove non c’erano riusciti nemmeno i caccia o i droni. Gli davano del matto,
non dell’eroe, nemmeno potenziale, o intenzionale. Beh, si dovevano ricredere! Ma
dopo tutto, perché pensare alla gente che aveva conosciuto lì dove viveva? Era
plausibile che sarebbe andato a vivere altrove, lontano, questa volta allontanandosi
lui da tutto quello che lo aveva circondato in quel quotidiano che era sempre
stato pieno di personaggi un po’ viscidi, ogni volta così vicini e così lontani
al contempo. Chissà ora quanti amici avrebbe avuto! Una gara per conoscerlo,
parlare con lui, questo sarebbe successo! Si sgomentò ancora un po’, decisamente sentì di non avere tutta questa voglia di parlare ed essere popolare, o per lo meno non tra
gente che non gli avrebbe mai detto una parola se non avesse infilato quella
spada su per il cuore della bestia. Una botta di fortuna e basta! Gli pareva
impossibile di esserci riuscito, si sentiva come se un Dio greco gli avesse
guidato la mano, immergendo la lama fino all’elsa, dandogli poi pure la forza
di estrarla di nuovo. Non sentiva fosse merito suo. Forse lo attendeva una
vita, un prosieguo, di falsità ed ipocrisia, di superficialità e opportunismo. Ci
pensò un po’ su. Anzi, forse le cose sarebbero andate anche peggio. Fino a lì
aveva formulato pensieri fin troppo ottimistici. La verità è che nessuno lo
aveva visto uccidere il drago, probabilmente a tutti sarebbe stato evidente che
le sue affermazioni erano vere, bastava poco per esserne certi, ma forse
avrebbero preso a pretesto la loro assenza e l’assenza di qualunque altro
testimone oculare per seminare dubbi, sospetti, con lo scopo di non dover dare
nulla a nessuno o magari anche peggio di usurpargli la gloria. Già gli pareva
di vederlo! Gente che se ne era stata comodamente a casa, o attori, o impostori,
pronti a rivendicare l’impresa, a raccontare in tono suggestivo storie
inventate, ma che il pubblico avrebbe voluto ascoltare. Ben confezionate, e non
acide, smorte come le sue. Era probabile che una multinazionale
dell’informazione avrebbe tirato fuori un personaggio, un pupazzo manovrabile e
belloccio che avrebbe preso il suo posto, vissuto la vita che sarebbe
legittimamente spettata a lui. Ricordava bene che prima dell’avvento del drago
tutto era falsità e equivoco. Paradossalmente le cose erano un po’ cambiate
solo dopo l’arrivo degli incendi e le devastazioni. Il drago era riuscito a
riportare un po’ di bisogno di verità e di autenticità nelle cose. Sulle sue
sfiammate non si poteva scherzare, era inutile anche ricamarci o fare
allarmismi, di allarme ce ne era già a volontà. E di certo sarebbe pure uscito
dalla botola qualche politicante vecchio stampo. Se ne stavano da anni tutti in
silenzio, acquattati e rintanati per bene in posti inaccessibili per salvare le
chiappe. I Governi avevano praticamente smesso di esistere, erano stati
sostituiti da comitati di cittadini appena le cose si erano messe male davvero.
E i politicanti, si diceva che si fossero fatti fare in fretta e furia dei
rifugi sotterranei nella speranza che il drago non li scovasse e facesse a
pezzi. Di certo ci sarebbe riuscito se avesse voluto, quindi, come ratti, erano
spariti dalla circolazione in silenzio, sperando di essere dimenticati alla
svelta. E difatti ci erano riusciti! Lui al riportarli alla memoria si rese
conto di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che li ricordava. Non gli
mancavano affatto. Beh, di sicuro sarebbero tornati in pompa magna. Ciascuno
dicendo stronzate sul “grande appoggio dato a questo coraggioso giovane pieno
di talento...” o “lo sforzo profuso in un momento di grande disperazione, nel quale
non era però mai mancato il sostegno a chi poi si è rivelato tanto decisivo...” e
vattelappesca che altre frasi stupide e del cavolo alle quali molti cittadini
avrebbero di nuovo preso a prestare attenzione. Era convinto che se avesse
detto quello che pensava di loro, delle loro frasi, della loro fuga, della loro
inutilità e tutto il resto lo avrebbero tolto di mezzo senza pensarci su.
E anche loro avrebbero appoggiato qualche attorucolo docile scelto dal mondo dell’informazione
e lì sarebbe finito tutto. C’era proprio di che essere allegri! Ecco chi aveva
salvato! Una massa di rincoglioniti distratti chiamata popolo, acritici,
egoisti, incapaci di dare un giudizio decente a priori, ma sempre disposti a
seguire pedissequamente il divenire degli avvenimenti ex post e a farsi
suggestionare. Una serie di multimilionari bugiardi e cinici, impegnati a creare
e distruggere verità e menzogne e tutti i loro servi abietti. Ed infine una pletora
di cialtroni vigliacchi e opportunisti capaci solo di ingozzarsi nella
prosperità e darsela a gambe levate nel momento del bisogno. Era una visione
proprio amara, ma gli pareva la unica veramente autentica, e pensava che un
eroe, ammesso che lui lo fosse, non poteva mentire a se stesso. Guardò ancora
l’occhio con la pupilla ogivale della povera bestia che giaceva al sole estivo.
Per un momento i suoi sentimenti parvero mutare rispetto al significato della
sua sconfitta. Tutto sommato non aveva avuto tutti i torti il drago ad odiare e
detestare l’umanità, facevano quasi tutti pena o schifo. L’uomo è nemico di se
stesso. Ad essere onesti del tutto sentì che neanche lui lo aveva mai amato
davvero, altrimenti non se ne sarebbe appartato con tanta maniacale e costante
perizia. Mannaggia! Ad averci pensato prima, ad averla vista subito così la
faccenda si sarebbe risparmiato non solo il duello e l’uccisione, ma pure tutte
le fatiche previe, allenarsi con la spada, spendere i risparmi per trovarne una
decente, vagare per poter avere l’occasione di ingaggiare battaglia con la
bestia. Erano anni che non si fermava e faceva una vita scomoda. A vederla in
modo corretto quel drago, pur con tutto il suo odio, a lui aveva dato più dei
suoi simili. Nessuno si era mai soffermato su di lui, e invece il drago sì!
Stava volando, vede uno, in basso, vestito come uno strapezzente che agita una
lama di un metro e mezzo, sbraitando altisonanti parole di sfida alla maniera
cavalleresca e invece di mandarlo al diavolo pisciandogli in testa dall’alto, e
proseguire per il suo viaggio verso la prossima devastazione, inizia a scendere
a spirale, gli si mette dinanzi, colossale, e ascolta tutto quello che l’altro
ha da dire. Nessun suo simile avrebbe concesso tanto. Certo appena smesso di
ingaggiar tenzone lo aveva mezzo abbrustolito con uno sputo di fiamma, ma
d’altra parte era quello che lui andava cercando. Avrebbe dovuto spendere i suoi
ultimi risparmi in birra, al pub, invece di razionare tutto per fare una specie
di vita paramilitare dell’accidente in cerca di una gloria concessa da una
massa di deficienti e che forse addirittura non avrebbe mai avuto. Aveva
salvato la specie animale che non andava salvata. Il drago aveva fatto tutto
per il meglio invece, era riuscito addirittura a nobilitarla un po’,
schiacciandola così sotto la morsa del terrore. Di colpo si scosse, si sentiva
davvero affranto, aveva fatto un grandissimo errore a piantare quella spada nel
grande cuore di quel grande animale. Sentiva di aver ucciso l’unica creatura
verso la quale avrebbe dovuto provare affetto e amicizia, per salvare una massa
di persone nemiche e ostili, brutali. Era disperato! Se avesse potuto sarebbe
senza dubbio tornato indietro. Gli avrebbe ridato la vita, accidenti! Augurato
di vivere per secoli e secoli e di vessare per tutto il tempo l’umanità o di
estinguerla del tutto. Solo lui sarebbe potuto essere il riscatto alla
schifosaggine della bestia uomo, ed ecco che fine aveva fatto: ucciso da un
pezzente! Non voleva vivere con quella vergogna addosso, con tanto rimorso.
Guardò ancora una volta l’occhio enigmatico e lucido del drago, era bellissimo,
privo di pietà, privo di esitazioni, forse anche privo di falsità, lui sì,
eroico. Quantomeno sincero nella crudeltà e nell’odio. Radagasto ormai sentiva
di non volere né rimorso, né onorificenze false, tantomeno la pazzia per dover
contemplare impostori godersi la sua vita, nulla del genere. Voleva solo fare
una scelta “da drago” chiara, univoca, spietata. Si decise, sapeva che fare, sfilò
la spada da terra, la girò e piantò l’elsa tra terreno e testa del drago, poi
respirando forte ci si gettò sopra spaccandosi in due il cuore. Il dolore gli
fece vedere una forte luce bianca, e sentì chiaro l’arrivo della morte.
Accasciandosi a terra gli parve di recuperare parte dei sensi, prima di
perderli di nuovo e definitivamente. Il dolore lancinante aveva lasciato il
posto al freddo e a certa calma, e gli parve che l’occhio del drago non fosse
più cristallino come prima, che fosse chiuso. Non lo seppe mai.
Quando ignari passanti per caso
videro da lontano la carcassa del drago stesa sul campo e diedero la notizia, i
primi avventori si trovarono dinanzi a una stranissima scena. Il drago era
stato ucciso, pareva incredibile, ma era successo e con un colpo di spada, come
nelle storie cavalleresche. Giaceva inerte e marcescente con la lingua fuori,
la bocca semi aperta e gli occhi chiusi, ma quel che era più sorprendente
ancora era che colui che, senza dubbio, aveva realizzato quella mirabile
impresa, giaceva inginocchiato di fianco alla sua testa enorme e si era dato la
morte con la stessa arma con la quale aveva trafitto la bestia. Il drago fu
esposto al pubblico. Lui invece lo tolsero da lì, lo ripulirono, composero,
portarono in solenne corteo funebre affinché tutti conoscessero la sua strana
storia e gli rendessero il meritato onore che non aveva avuto in vita. Miglia,
poi centinaia di migliaia, poi milioni di persone gli resero omaggio gettando
un fiore sul suo tumulo sulla collina dove aveva sconfitto eroicamente il
flagello del mondo. Tutti salutarono con affetto sincero il loro salvatore che
non avrebbe mai raccontato la sua storia, e piansero per lui. Presto tutti i
media non parlarono d’altro, tutti i rappresentanti dei governi gli dedicarono
scuole, palazzi, ponti, statue, persino città. Una intera generazione di figli
prese il suo nome, che divenne popolarissimo. Ma forse tutto questo avvenne
solo perché era già morto.
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RispondiEliminaMi sono permesso di scrivere una breve spiegazione del senso del racconto di ieri (Radagasto) :-)
RispondiEliminaDopo aver parlato con alcuni lettori credo sia bene dare una breve spiegazione del racconto. Al di là della storiella in esso narrata, si voleva rappresentare il caso di una estrema e patologica misantropia. D’accordo, quello che accade è di facile identificazione, un tale che ha una determinata e piuttosto depressiva, oltre che isolata, percezione di se stesso nel mondo, riesce ad uccidere un drago. Entra poi in contatto con l’occhio di questo, e la bestia, ferita a morte ma non ancora spentasi del tutto lo suggestiona spingendolo ad interpretare la realtà in modo angosciante e catastrofico e con ciò lo porta al suicidio. Quando il personaggio si dà la morte anche il drago muore definitivamente. Ebbene, oltre ai concetti esposti nella storia, e che pure hanno sensi al di là dell’esplicito e dell’immediato, e nei quali con certa reiterazione ossessiva ho (come ho anche fatto nel mio romanzo) cercato di seminare dei riferimenti a determinate sfere, (la prima lista di leggende simboleggia per es. la religione, la seconda, quella sul sangue di drago, la scienza, entrambe sono irrisolutrici sulla psiche rappresentata dal drago stesso) il senso diciamo più profondo del racconto voleva essere quello di rappresentare il suicidio di un soggetto misantropo. Il simbolo del drago è banale, significa “la prova” suprema nell’esistenza di una persona, e in questo caso, per il personaggio, essa è rappresentata dalla accettazione degli altri che deve passare per la soppressione e la sconfitta del disprezzo e dell’odio verso l’umanità: la misantropia appunto. “Il drago” contro cui deve lottare il personaggio è l’odio per l’essere umano. Il personaggio e il drago sono in un certo senso la stessa cosa, coincidono tanto che quando muore l’uno, dell’altro non rimane nulla e questa consapevolezza porta alla morte di entrambi. La vera “vittoria” sarebbe stata quella di disfarsi dell’odio facendo sì che sopravvivesse qualcosa di ulteriore nel personaggio in modo da dargli la possibilità di sopravvivere a sua volta, ma ciò non accade. Il personaggio “vince” comunque perché riesce a sopprimere l’odio verso l’uomo, ma deve arrivare a sopprimere se stesso. L’invulnerabilità del drago alle armi è dovuta proprio al fatto che la violenza, il peggio dell’essere umano, alimenta proprio l’odio verso questo. La sconfitta del drago avviene infatti solo grazie a un briciolo di generosità che però si ritrae prontamente in un personaggio attanagliato dalla sua fobia per l’essere umano.