mercoledì 11 luglio 2012

RADAGASTO (Racconto)


Quando Radagasto gettò lo scudo, piantò la spada a terra e si tolse casco, occhiali e guanti, stava da solo. Non che fosse qualcosa di straordinario per un tipo schivo e meditabondo come lui, ma stavolta per chiunque ci sarebbe stato un grande spettacolo da contemplare. Sbuffò per il caldo, estrasse una bandana dalla tasca per asciugarsi il sudore dalla faccia. La carcassa del drago giaceva inerte occupando lo spazio di una portaerei, smisurata, colossale. Aveva realizzato l’impresa che nessuno era riuscito a compiere, e aveva fatto tutto da solo, forse un po’ nel suo stile, ammesso che uno come lui potesse affermare di avere “uno stile”. Ai voglia a lottare con armi moderne, sparare contro la bestia con ogni tipo di proiettile, invenzione e potenza di fuoco, tutti gli altri avevano fallito, non avevano fatto altro che peggiorare le cose, l’avevano fatto arrabbiare davvero. Era iniziato tutto anni prima, successo come entrando all’improvviso in un incubo che immediatamente intrappola tutti e diviene una realtà unica e inesorabile. Di colpo, da un giorno a un altro, appare una creatura crudele, potentissima, invulnerabile, che inizia a distruggere tutto quello che vuole, a suo comodo e senza possibilità di scampo per nessuno. Quello diventa il quotidiano di tutti, pure di gente pacifica fino alla noia, e non ci si riesce a far nulla. Al drago piace e interessa solo quello: devastare e uccidere. Si accaniva ora qua, ora là, copriva in poco tempo un’aria vasta quanto un continente, imperversava specialmente per l’Europa, ma poteva anche decidere di andare più lontano ancora. Quando appariva tutti si disperavano e da tempo ormai iniziavano a sperare solo che si allontanasse il prima possibile e portasse il suo fuoco distruttore e la sua maledetta coda da qualche altra parte. Si sperava solo che facesse del male ad altri, distruggesse altri posti. Ciascuno si arrovellava, per campare, puntando nel suo intimo sulla morte e sofferenza altrui. All’inizio no, avevano tutti fiducia negli eserciti, nella scienza, nella tecnologia: proiettili, per cominciare, poi cacciabombardieri e contraerea, poi razzi, infine onde, microonde, radiazioni, qualsiasi diavoleria, ma nulla di nulla, nessun risultato. Quello dava fuoco a tutto e basta, non si scalfiva neanche un po’. Il suo fuoco liquefaceva il metallo e la pietra o la sgretolava, la sua coda si avvinghiava ai palazzi, ai grattacieli e li frantumava, la punta di essa penetrava come una lancia contro qualunque cosa la scagliasse. Milioni di vittime, migliaia ogni giorno. Dopo un primo periodo quasi non si combatteva più, tutti si limitavano a fare scongiuri, piangere, disperarsi, parlare a bassa voce, chiamare o alludere alla bestia coi nomi più indiretti e obliqui, come se quella potesse sentirli, quando menzionata direttamente, e correre a punirli per le loro opinioni e il desiderio che crepasse. Iniziarono a fioccare leggende, storie, teorie parto della disperazione e interpretazioni escatologiche o ciniche di quello che stava succedendo. Sui draghi nella storia umana si sono create miriadi di storie; nessuno sapeva quali fossero vere e quali false. Oltre a quello che si poteva osservare direttamente, nessuno aveva la capacità di orientarsi. A partire dal nome, tutto era imprecisato, ingarbugliato, vago. Ognuno aveva dato un nome alla bestia, c’era chi lo chiamava semplicemente “il drago” o “la bestia”, chi “il gran verme”, chi “l’immane distruttore”, aveva decine e decine di epiteti che ricordavano altisonanti titoli nobiliari o piuttosto nomi simili a quelli di pugili famosi e letali: “il flagello d’occidente”, “il grande devastatore”, “la maledizione alata”, e si potrebbe continuare per pagine e pagine in tutte le lingue d’Europa e anche del resto del mondo. Alcuni iniziarono persino a dire che egli aveva un nome suo proprio che portava sin dalla notte dei tempi, e che lui era sempre esistito, altri dicevano addirittura di conoscerlo, il suo nome, ma lì non c’era accordo. Ad ogni modo si era imposta, così, senza alcuna evidenza certa del perché e del per come, la linea che voleva si chiamasse Tristiferion, o Tristiferior, o Tristiferione, forse in assonanza col greco: portatore; unito alla parola triste: il portatore di tristezza. Altri accorciavano il nome in Ferion, o Firion, ma più o meno queste erano le varianti più comunemente condivise come autentiche. Sia come sia, da quando era apparso, quel lontano giorno in cui la realtà era divenuta un incubo orrendo, non v’era altra priorità, altro desiderio nel cuore di ciascuno che tornare a quando il drago non era presente. A tutti nella memoria pareva che quel mondo fosse perfetto e felice come l’età dell’oro. La sua uccisione, quindi, sarebbe stata la più grande e magnifica di tutte le notizie, l’avvenimento più sperato e desiderato da chiunque nel globo e per adesso di ciò era al corrente solo il suo uccisore. Anche lui, da quando era apparso quel mastodontico rettile alato, aveva cambiato vita, forse anche lui era impazzito, come tutti gli altri; andava in giro armato di spada, portava uno scudo che s’era fatto da se. Alcuni dicevano che un drago può essere ucciso solo in singolar tenzone e da un'arma da taglio nobile come la spada. E anche lui come molti sapeva decine e decine di storie, leggende e racconti, teorie, sui draghi e le loro origini, la loro invulnerabilità, la loro esistenza. Storie di tutti i tipi, molte in conflitto tra loro, molte dovevano essere delle balle belle e buone. Alcune avevano origini ancestrali, altre erano recenti, la maggior parte pareva inventata solo per spaventare e paralizzare il cuore degli ascoltatori, divertire chi le raccontava col terrore della platea. Era un tema che era tornato di grande attualità, quello della natura dei draghi, e, come sempre, senza una base ragionevole, c’era chi asseriva di saperne più di altri, di essere “esperto”. I draghi non nascono, ci sono da sempre; oppure, sono rettili, nascono da uova colossali; oppure, sono creature siderali, non respirano, viaggiano da un pianeta all’altro in cerca di qualcosa da distruggere; e ancora, si sono creati nel centro della terra, tra magma e fuoco, là sotto ne è pieno, provocano i terremoti, e quando riescono a trovare un cammino che li porta in superficie ecco cosa succede; no, nascono sul sole etc. Radagasto sbuffò per la stanchezza. Stava facendo due passi attorno alle decine e decine di metri dell’immane carcassa che s’era schiantata contro il campo incolto dove s’era ingaggiata la battaglia, o piuttosto il duello. Si fermò un po’ a riguardare quando giunse in prossimità della coda. Prima di perdersi nei suoi pensieri ebbe la freddezza di rullare una sigaretta, ritrovò la busta del tabacco ancora intatta nella tasca dove la aveva lasciata. Le dita rispondevano bene, nonostante la paura, l’eccitazione, il nervosismo, e anche la fiacca e i vari acciacchi. Era più calmo e placido di quello che avrebbe mai sospettato. Iniziò il cammino inverso, dalla coda alla testa, guardando il rettile con attenzione. La coda puntuta, che terminava con una strana e lunga squama nera dai riflessi blu e sembrava di metallo, come una daga. Poi la lunghissima spina dorsale che si sviluppava contorta e avvolta in matasse di spire eleganti per decine e decine di metri, come un’enorme colonia di serpenti. Il corpo, le quattro zampe, le immense ali da pipistrello ormai rattrappite e chiuse, flosce come la velatura di un albero di vascello spezzato, ed infine il lunghissimo collo torto e avvolto e l’immensa testa. Da dove era, quando invertì la marcia, doveva camminare molto per tornare dall’altra parte, all’altra estremità. Mentre lo faceva apprezzava i colori della livrea. Le squame che, viste da lontano, mentre volava, gli davano un imprecisabile colore unitario, erano tutte di tinte diverse, alternate con una sontuosa geometria cromatica, grosse come tegole, dure come acciaio, anche di più. Chissà perché proprio quei colori, rosso vivo, rosso mattone, violette, bluastre e giallognole scendendo verso il ventre. Chissà da dove venivano, chi gliele aveva date quelle sfumature, che genitori, di che tipo, quando. Anche lui sapeva tutte le decine e decine di teorie e storie sui draghi, iniziò a ricordarle. Era uno studioso, sapeva quali venivano dalle culture antiche, per lo più norrena e germanica, e quali erano interpolazioni o varianti moderne delle stesse, quali completamente nuove ed inventate e le classificava tra verosimili e inverosimili. Forse, dopo tutto, al momento attuale lui era il più grande conoscitore di bestie del genere nel mondo intero, di certo non solo l’unico ad averne accoppata una, ma anche quello che la aveva vista più da vicino. Passò in prossimità a dove il drago aveva ricevuto la ferita esiziale, il sangue era uscito copioso e aveva formato una grossa pozza da una parte del campo. Gli girò attorno senza toccarla. Forse sorrise impercettibilmente mentre pensava a che intrico di affermazioni esistesse già solo rispetto alla natura e gli effetti del sangue di drago. Secondo alcuni sarebbe corrosivo, secondo altri velenoso, anche solo al contatto; altri invece dicevano che conferiva forza e poteri smisurati e bisognava ingerirlo; altri ancora che il bagno nello stesso rende invulnerabili; altri che sia il contatto, sia l’ingestione di esso, anche in quantità minime, per esempio leccando una lama che ne sia macchiata o incrostata, faccia comprendere tutti i linguaggi umani e animali; secondo un’altra versione si diventerebbe capaci di percepire i pensieri della gente e secondo altri ancora porterebbe alla pazzia e alla demenza, oppure riparerebbe dall’ultima maledizione del drago. Lui, per prudenza, non ne voleva sapere di avere doni o perdere il senno o la vita. Era scuro, denso, di un intensa tinta granata che sfumava nel nero. Quando aveva infilato la spada e poi l’aveva tirata via era uscito un fiotto copioso, con un getto a spruzzo lungo e uniforme che gli era passato oltre, ben sopra la testa, per la pressione. Un fiume si sangue denso come petrolio di Brent. Forse qualche goccia lo aveva pure investito, ma non se ne era accorto, e di certo non notava effetti o anomalie, né su di lui, né sulle sue armi, che ne erano impastate. Proseguì girando comunque a largo di pozza e rigagnolo. Il corpo disteso di lucertola era alto più di lui ormai, le zampe erano come tronchi, artigliate, e da lì sotto non distingueva più le creste nere simili a metallo lucido che lo ricorrevano tutto al centro del dorso. Dopo qualche lungo minuto era arrivato fino alla testa, tornando oltre a dove era stata piantata la spada che gli aveva dato la morte. Certo una bella beffa! Resistere a tutto, devastare ogni cosa, umiliare e prostrare l’umanità per anni rendendo risibili tutte le armi inventate, le più potenti e sofisticate, e poi perire per un colpo di spada, classico, banale, una stoccata sola, e data da uno come lui, che non era mai stato nessuno. E poi, crollare lì, su un campo qualunque, di passaggio tra una città e un’altra, per essersela presa con un unico poveraccio in viaggio a piedi. E senza che ci fosse neppure uno straccio di spettatore ad ammirare il duello! Bah, non mancava certa ironia dopo tutto, schiattare di colpo per aver ingaggiato una contesa così misera, contro un individuo solo, scalcagnato, una cosa che non era nemmeno nello stile di quel grande rettile vanaglorioso e tronfio, che preferiva distruggere in blocco masse di persone, raccolti, eserciti, e grandi città o borghi, essere sempre in tv e sotto i riflettori. Era stata una morte stupida! Sì, stupida era la parola appropriata, perché i draghi, e questo lui e molti lo avevano capito e lo sapevano con certezza, erano creature intelligenti, estremamente intelligenti e scaltre. Subdole, infide, maligne, prediligevano la devastazione fisica e la forza bruta, ma erano in grado di pianificare, ascoltare, interpretare, comprendere. Dotati di sensi e udito finissimi, secondo alcuni erano anche in grado di comunicare col pensiero. C’era chi diceva di averci dialogato, e, secondo una teoria che prendeva piede, era per questa ragione che si conosceva il suo nome proprio, era lui a dirlo a molti mentre distruggeva tutto: “Io sono Tristiferione il possente, e distruggerò tutto!”. Molti avevano riferito di aver ascoltato quella frase formatasi nel loro cervello mentre il drago imperversava. Crudeli all’infinito, il godimento dei draghi, ammesso che di una specie si tratti e non dell’unico esemplare, parrebbe essere non tanto, o non solo, quello di provocare macerie e devastazione nell’immediato, morti e perdite, ma anche quello di suscitare il terrore, divenire famosi, celeberrimi, e per questo lasciano sempre in vita qualche spettatore, che possa raccontare le vicende. Così selezionano le vittime, e spesso ci giocano a lungo prima di finirle. Alcuni giuravano di averlo sentito e visto ridere mentre distruggeva tutto e gli umani sotto di lui si disperavano ed urlavano. Amanti della sofferenza altrui, preferiscono golosamente prendersela coi bimbi, i giovani, per gettare i superstiti nella disperazione più assoluta facendoglieli seppellire. Preferiscono uccidere persone attaccate alla vita, benestanti, sane, felici. Non si contano tutti coloro che nella sua recente attività Tristiferione aveva incenerito o dilaniato. Con calma Radagasto fece un giro attorno alla testa, era immensa, il suo teschio da solo quanto sarebbe potuto pesare, o valere? Quanto avrebbero pagato per poterlo esporre scarnificato, o imbalsamarla tutta la testa? Che muso orrendo! Denti aguzzi e lunghi come coltelli da cucina, una bocca quasi da coccodrillo, ma spropositata, rimasta chiusa storta, in una smorfia che aveva del beffardo, con una lingua da serpente che era ancora parzialmente fuori. Una volta ricevuto il colpo il drago era rimasto sorpreso, non se lo aspettava, e aveva tirato fuori un suono sordo, cupo, come di chi si liberi di un bel pezzo di catarro dai polmoni con un solo sonoro e profondo colpo di tosse. Lui invece aveva gettato una ultima scomposta e inutile fiammata, rivolta al nulla del cielo. Per un istante vi era arso e brillato un piccolo sole abbagliate che risplendette chiaro anche nell’azzurro di un afoso pomeriggio estivo. Poi si era schiantato fragorosamente a terra senza muoversi più. Certo che era rimasto sorpreso! Secondo alcuni, e forse ora sarebbe anche possibile dar loro ragione, un drago non solo non è invulnerabile, ma ne ha anche consapevolezza. Nonostante la loro estrema intelligenza, alcuni dicono addirittura onniscienza, ignorano cosa di preciso potrebbe farli perire, ma sapendo che il rischio è minimo, praticamente inesistente, a volte non se ne curano troppo, pur essendo per natura sempre diffidenti e vili. Al contempo, nella loro estrema arroganza e vanità, tracotante fino a divenire noncurante dei pericoli, amano le sfide, soprattutto quelle dove pensano di poter vincere senza problemi. Tristiferione trattava tutti allo stesso modo, grandi e piccoli, tanti o pochi: con supponenza e ostentando superiorità. Non aveva avuto il tempo nemmeno di chiudere gli occhi. Eccolo lì, ne vedeva solo uno, l’altro era uguale, ma dall’altra parte del capo: aperto spento, scuro, con una pupilla da serpe, gialla, crudele, inespressiva. No, forse inespressiva no! Un bulbo oculare come un cristallo, limpido, lucido, ipnotico, se ne carpiva la smisurata crudeltà e tutto l’odio per qualunque essere vivente. Ricordò. Una leggenda diceva che è impossibile uccidere un drago, sbagliato! Un’altra che è impossibile sopravvivere a uno scontro diretto contro un drago, sbagliata anche questa. Una terza era più enigmatica, diceva che seppure riesci a ucciderlo, il drago ti ucciderà ad ogni modo. Anche questa terza pareva essere erronea. Radagasto però al riportarla su dalla memoria, si tocco tutto, come se cercasse indizi di qualcosa che non andava, e conferme di essere ancora in carne ed ossa. Sì, non c’era dubbio, era andato tutto bene! Era appena un po’ abbrustolito in alcuni punti, i polpacci, le ginocchia scottavano un po’, e pure gli avambracci, i vestiti ancora fumavano. Aveva preso qualche botta rotolando e cadendo, ma non c’era dubbio, non stava morendo, nulla peggiorava, anzi si sentiva tutto sommato in gran forma. Forse meno euforico di quello che chiunque si sarebbe aspettato, vista l’impresa realizzata, degna di canti, a dir poco, ma lui sapeva bene di non essere portato per l’euforia. Colpa del drago se era morto, avrebbe dovuto lanciare subito una fiammata delle sue, potente e perentoria, definitiva. Lui sarebbe caduto, si sarebbe disfatto tutto in cenere nel volger di un battito di cuore. Invece aveva tentato di sbruciacchiare lentamente il malcapitato godendo delle sue urla di dolore, e di afferrarlo con gli enormi artigli per scarnificarlo poco a poco fino alla morte. Si era cercato da solo la reazione, e gli era costata la vita. Certo, iniziò a pensare l’eroe, ora la sua di vita sarebbe molto cambiata, dopo un tale successo, quando gli altri lo avessero saputo, sarebbe cambiato tutto. Era sempre stato per i fatti suoi, a studiare, a prepararsi per qualcosa che pareva non avesse senso, chi lo conosceva lo prendeva pure per matto. Dicevano che vaneggiava, insistevano nel dirlo anche quando ormai anche tutti gli altri erano impazziti, per il dolore, per le perdite, l’ansia di vedere apparire il drago. Era cambiato tutto in poco tempo e da tanti anni. Ed ora di colpo era finito tutto allo stesso modo. Merito suo! Avrebbe smesso di essere povero! Di essere solo, ignorato da tutti, trasparente. Solo raccontando la sua storia in tv, o vendendo la carcassa, o per la gratitudine di tutti gli abitanti della terra, sarebbe diventato multimilionario, famosissimo. Tutti, alla fin fine, gli dovevano qualcosa, o meglio, gli dovevano moltissimo, altro che! Fino ad allora non se lo era mai cacato nessuno, invece! Già a partire dal nome appariva come un tipo bizzarro, anomalo, suscitava certa ilarità, prese in giro, le trite ritrite ironie ripetitive di persone senza creatività e ingegno. Era stanco della gente, ecco perché se ne stava per fatti suoi. Radagasto! Ma che nome è? Era pure comprensibile che la gente ci motteggiasse su. Una adattamento italiano di Radagast il bruno, il confratello di Gandalf il grigio, nel Signore degli Anelli. Il padre era un freak di Tolkien e gli aveva messo quel buffo nome adattandolo però all’italiano perché non sopportava i nomi di persona che finiscono per consonante. Era già tanto che non lo avesse chiamato Gandalfo, o Boromiro! Che schifezza! Ma al padre piaceva questo enigmatico personaggio rinunciatario, e aveva voluto rendergli omaggio. Glielo diceva sempre fin da bambino, Radagast era un bel personaggio, che sfugge alla sua missione e si ritira in pace in contatto e simbiosi con la natura. Certo altri personaggi erano più famosi, più gloriosi, ma dopo tutto sarebbe stato da pretenziosi mettere a un umano di oggi, uno che non contava nulla come lui, un nome di antichi eroi. Il padre era proprio convinto che fossero esistiti davvero. Sarebbe stato irriverente, nessuno potrebbe mai permettersi di portare un nome come Boromir, Glorfindel o Denethor. Radagast invece andava bene. E lui aveva preso anche la sua parte, anche lui si era appartato tutto sommato, tra le sue passioni, i suoi studi, in certa solitudine. Poi di colpo una avventura in stile fantasy lo aveva portato a vivere quello che pareva fatto apposta per il suo nome, ed ora eccolo lì, con quel cadavere immane vicino. Era perplesso sul da farsi, ancora incredulo anche del suo stesso successo. Guardò attentamente la pupilla da ofide del mostro, era così spaventosa, ma magnetica. Si pose delle domande quasi stesse cercandone la risposta nel cristallo oculare. Che sarebbe successo ora? Che avrebbe dovuto fare? Cercare qualcuno, spiegare l’accaduto, magari dicendo: “Ho ucciso il drago, venite a vedere, con questa spada l’ho ucciso!”. E chissà, allora ci sarebbe stato un tripudio, balli, feste, tanto per cominciare, piccoli onori già lì sul posto, in campagna. Poi sarebbe arrivata la tv, la stampa, e sarebbe di certo diventato famoso, un eroe, amato e ammirato. Già si vedeva, tutto ben vestito, ricco e felice, acclamato e rispettato da tutti. Basta lavori precari, basta vagare insensatamente e dormire in tenda, da adesso in avanti avrebbe viaggiato comodo, e senza spendere un soldo. Chi avrebbe osato far pagare, o prendere soldi dall’uccisore del drago? Se anche qualcuno ci avesse provato era certo che tutti gli avrebbero ricordato che se la sua stamberga era in piedi ed al sicuro era merito suo e bisognava dare riconoscenza a lui, a Radagasto l’ammazzadraghi. In un certo senso non è che si sentisse troppo preparato per tanta popolarità però, gli venne un groppo in gola. Iniziò a sembrargli assurdo non tanto che avesse ottenuto un successo, quanto il fatto che per avere un po’ di considerazione dagli altri avesse dovuto attenderlo. Prima nulla di nulla, la maggior parte degli esseri umani e di certo non i peggiori naviga nell’indifferenza degli altri. A lui? Niente offerte di lavoro, poche donne, pochi amici, pochi beni. La vita classica di un piccolo centro, dove tutti conoscono tutti e trattano il prossimo solo in funzione di quello che possono ottenere da lui. Il mondo è degli opportunisti, pensò. Quanto più ricco tanti più salamelecchi, e viceversa. Sarebbe stato proprio squallido dover vedere gente con la quale si incrociava da una vita, ma che non gli aveva mai mostrato un minimo di cortesia e apprezzamento, venire a parlare con lui, volerlo conoscere, curiosa adesso, magari arruffianarselo, fare finta che ci si conosceva da una vita e tutto il resto. Magari i vecchi compagni di scuola, o peggio ancora le compagne, quelle che non gli avevano mai prestato attenzione e che andavano a letto con altri. Quelli con la macchina, quelli alla moda. E adesso, invece, magari interessate! Che era cambiato tutto sommato? Questo anche lo irritava un po’ dopo essersi soffermato su quello che gli sembrava il suo autentico significato. Che triste è la gente! Un colpo fortunato e diventi quello che non sei mai stato per nessuno; tutti “ti scoprono”, come se non ti avessero mai avuto davanti agli occhi. Non conta nulla che fossi già da prima disposto a lottare coraggiosamente! A lui gli avevano sempre detto che era da matti girare bardato così, con la spada, nella speranza di farla finita col grande distruggitore laddove non c’erano riusciti nemmeno i caccia o i droni. Gli davano del matto, non dell’eroe, nemmeno potenziale, o intenzionale. Beh, si dovevano ricredere! Ma dopo tutto, perché pensare alla gente che aveva conosciuto lì dove viveva? Era plausibile che sarebbe andato a vivere altrove, lontano, questa volta allontanandosi lui da tutto quello che lo aveva circondato in quel quotidiano che era sempre stato pieno di personaggi un po’ viscidi, ogni volta così vicini e così lontani al contempo. Chissà ora quanti amici avrebbe avuto! Una gara per conoscerlo, parlare con lui, questo sarebbe successo! Si sgomentò ancora un po’, decisamente sentì di non avere tutta questa voglia di parlare ed essere popolare, o per lo meno non tra gente che non gli avrebbe mai detto una parola se non avesse infilato quella spada su per il cuore della bestia. Una botta di fortuna e basta! Gli pareva impossibile di esserci riuscito, si sentiva come se un Dio greco gli avesse guidato la mano, immergendo la lama fino all’elsa, dandogli poi pure la forza di estrarla di nuovo. Non sentiva fosse merito suo. Forse lo attendeva una vita, un prosieguo, di falsità ed ipocrisia, di superficialità e opportunismo. Ci pensò un po’ su. Anzi, forse le cose sarebbero andate anche peggio. Fino a lì aveva formulato pensieri fin troppo ottimistici. La verità è che nessuno lo aveva visto uccidere il drago, probabilmente a tutti sarebbe stato evidente che le sue affermazioni erano vere, bastava poco per esserne certi, ma forse avrebbero preso a pretesto la loro assenza e l’assenza di qualunque altro testimone oculare per seminare dubbi, sospetti, con lo scopo di non dover dare nulla a nessuno o magari anche peggio di usurpargli la gloria. Già gli pareva di vederlo! Gente che se ne era stata comodamente a casa, o attori, o impostori, pronti a rivendicare l’impresa, a raccontare in tono suggestivo storie inventate, ma che il pubblico avrebbe voluto ascoltare. Ben confezionate, e non acide, smorte come le sue. Era probabile che una multinazionale dell’informazione avrebbe tirato fuori un personaggio, un pupazzo manovrabile e belloccio che avrebbe preso il suo posto, vissuto la vita che sarebbe legittimamente spettata a lui. Ricordava bene che prima dell’avvento del drago tutto era falsità e equivoco. Paradossalmente le cose erano un po’ cambiate solo dopo l’arrivo degli incendi e le devastazioni. Il drago era riuscito a riportare un po’ di bisogno di verità e di autenticità nelle cose. Sulle sue sfiammate non si poteva scherzare, era inutile anche ricamarci o fare allarmismi, di allarme ce ne era già a volontà. E di certo sarebbe pure uscito dalla botola qualche politicante vecchio stampo. Se ne stavano da anni tutti in silenzio, acquattati e rintanati per bene in posti inaccessibili per salvare le chiappe. I Governi avevano praticamente smesso di esistere, erano stati sostituiti da comitati di cittadini appena le cose si erano messe male davvero. E i politicanti, si diceva che si fossero fatti fare in fretta e furia dei rifugi sotterranei nella speranza che il drago non li scovasse e facesse a pezzi. Di certo ci sarebbe riuscito se avesse voluto, quindi, come ratti, erano spariti dalla circolazione in silenzio, sperando di essere dimenticati alla svelta. E difatti ci erano riusciti! Lui al riportarli alla memoria si rese conto di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che li ricordava. Non gli mancavano affatto. Beh, di sicuro sarebbero tornati in pompa magna. Ciascuno dicendo stronzate sul “grande appoggio dato a questo coraggioso giovane pieno di talento...” o “lo sforzo profuso in un momento di grande disperazione, nel quale non era però mai mancato il sostegno a chi poi si è rivelato tanto decisivo...” e vattelappesca che altre frasi stupide e del cavolo alle quali molti cittadini avrebbero di nuovo preso a prestare attenzione. Era convinto che se avesse detto quello che pensava di loro, delle loro frasi, della loro fuga, della loro inutilità e tutto il resto lo avrebbero tolto di mezzo senza pensarci su. E anche loro avrebbero appoggiato qualche attorucolo docile scelto dal mondo dell’informazione e lì sarebbe finito tutto. C’era proprio di che essere allegri! Ecco chi aveva salvato! Una massa di rincoglioniti distratti chiamata popolo, acritici, egoisti, incapaci di dare un giudizio decente a priori, ma sempre disposti a seguire pedissequamente il divenire degli avvenimenti ex post e a farsi suggestionare. Una serie di multimilionari bugiardi e cinici, impegnati a creare e distruggere verità e menzogne e tutti i loro servi abietti. Ed infine una pletora di cialtroni vigliacchi e opportunisti capaci solo di ingozzarsi nella prosperità e darsela a gambe levate nel momento del bisogno. Era una visione proprio amara, ma gli pareva la unica veramente autentica, e pensava che un eroe, ammesso che lui lo fosse, non poteva mentire a se stesso. Guardò ancora l’occhio con la pupilla ogivale della povera bestia che giaceva al sole estivo. Per un momento i suoi sentimenti parvero mutare rispetto al significato della sua sconfitta. Tutto sommato non aveva avuto tutti i torti il drago ad odiare e detestare l’umanità, facevano quasi tutti pena o schifo. L’uomo è nemico di se stesso. Ad essere onesti del tutto sentì che neanche lui lo aveva mai amato davvero, altrimenti non se ne sarebbe appartato con tanta maniacale e costante perizia. Mannaggia! Ad averci pensato prima, ad averla vista subito così la faccenda si sarebbe risparmiato non solo il duello e l’uccisione, ma pure tutte le fatiche previe, allenarsi con la spada, spendere i risparmi per trovarne una decente, vagare per poter avere l’occasione di ingaggiare battaglia con la bestia. Erano anni che non si fermava e faceva una vita scomoda. A vederla in modo corretto quel drago, pur con tutto il suo odio, a lui aveva dato più dei suoi simili. Nessuno si era mai soffermato su di lui, e invece il drago sì! Stava volando, vede uno, in basso, vestito come uno strapezzente che agita una lama di un metro e mezzo, sbraitando altisonanti parole di sfida alla maniera cavalleresca e invece di mandarlo al diavolo pisciandogli in testa dall’alto, e proseguire per il suo viaggio verso la prossima devastazione, inizia a scendere a spirale, gli si mette dinanzi, colossale, e ascolta tutto quello che l’altro ha da dire. Nessun suo simile avrebbe concesso tanto. Certo appena smesso di ingaggiar tenzone lo aveva mezzo abbrustolito con uno sputo di fiamma, ma d’altra parte era quello che lui andava cercando. Avrebbe dovuto spendere i suoi ultimi risparmi in birra, al pub, invece di razionare tutto per fare una specie di vita paramilitare dell’accidente in cerca di una gloria concessa da una massa di deficienti e che forse addirittura non avrebbe mai avuto. Aveva salvato la specie animale che non andava salvata. Il drago aveva fatto tutto per il meglio invece, era riuscito addirittura a nobilitarla un po’, schiacciandola così sotto la morsa del terrore. Di colpo si scosse, si sentiva davvero affranto, aveva fatto un grandissimo errore a piantare quella spada nel grande cuore di quel grande animale. Sentiva di aver ucciso l’unica creatura verso la quale avrebbe dovuto provare affetto e amicizia, per salvare una massa di persone nemiche e ostili, brutali. Era disperato! Se avesse potuto sarebbe senza dubbio tornato indietro. Gli avrebbe ridato la vita, accidenti! Augurato di vivere per secoli e secoli e di vessare per tutto il tempo l’umanità o di estinguerla del tutto. Solo lui sarebbe potuto essere il riscatto alla schifosaggine della bestia uomo, ed ecco che fine aveva fatto: ucciso da un pezzente! Non voleva vivere con quella vergogna addosso, con tanto rimorso. Guardò ancora una volta l’occhio enigmatico e lucido del drago, era bellissimo, privo di pietà, privo di esitazioni, forse anche privo di falsità, lui sì, eroico. Quantomeno sincero nella crudeltà e nell’odio. Radagasto ormai sentiva di non volere né rimorso, né onorificenze false, tantomeno la pazzia per dover contemplare impostori godersi la sua vita, nulla del genere. Voleva solo fare una scelta “da drago” chiara, univoca, spietata. Si decise, sapeva che fare, sfilò la spada da terra, la girò e piantò l’elsa tra terreno e testa del drago, poi respirando forte ci si gettò sopra spaccandosi in due il cuore. Il dolore gli fece vedere una forte luce bianca, e sentì chiaro l’arrivo della morte. Accasciandosi a terra gli parve di recuperare parte dei sensi, prima di perderli di nuovo e definitivamente. Il dolore lancinante aveva lasciato il posto al freddo e a certa calma, e gli parve che l’occhio del drago non fosse più cristallino come prima, che fosse chiuso. Non lo seppe mai.
Quando ignari passanti per caso videro da lontano la carcassa del drago stesa sul campo e diedero la notizia, i primi avventori si trovarono dinanzi a una stranissima scena. Il drago era stato ucciso, pareva incredibile, ma era successo e con un colpo di spada, come nelle storie cavalleresche. Giaceva inerte e marcescente con la lingua fuori, la bocca semi aperta e gli occhi chiusi, ma quel che era più sorprendente ancora era che colui che, senza dubbio, aveva realizzato quella mirabile impresa, giaceva inginocchiato di fianco alla sua testa enorme e si era dato la morte con la stessa arma con la quale aveva trafitto la bestia. Il drago fu esposto al pubblico. Lui invece lo tolsero da lì, lo ripulirono, composero, portarono in solenne corteo funebre affinché tutti conoscessero la sua strana storia e gli rendessero il meritato onore che non aveva avuto in vita. Miglia, poi centinaia di migliaia, poi milioni di persone gli resero omaggio gettando un fiore sul suo tumulo sulla collina dove aveva sconfitto eroicamente il flagello del mondo. Tutti salutarono con affetto sincero il loro salvatore che non avrebbe mai raccontato la sua storia, e piansero per lui. Presto tutti i media non parlarono d’altro, tutti i rappresentanti dei governi gli dedicarono scuole, palazzi, ponti, statue, persino città. Una intera generazione di figli prese il suo nome, che divenne popolarissimo. Ma forse tutto questo avvenne solo perché era già morto.

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  2. Mi sono permesso di scrivere una breve spiegazione del senso del racconto di ieri (Radagasto) :-)

    Dopo aver parlato con alcuni lettori credo sia bene dare una breve spiegazione del racconto. Al di là della storiella in esso narrata, si voleva rappresentare il caso di una estrema e patologica misantropia. D’accordo, quello che accade è di facile identificazione, un tale che ha una determinata e piuttosto depressiva, oltre che isolata, percezione di se stesso nel mondo, riesce ad uccidere un drago. Entra poi in contatto con l’occhio di questo, e la bestia, ferita a morte ma non ancora spentasi del tutto lo suggestiona spingendolo ad interpretare la realtà in modo angosciante e catastrofico e con ciò lo porta al suicidio. Quando il personaggio si dà la morte anche il drago muore definitivamente. Ebbene, oltre ai concetti esposti nella storia, e che pure hanno sensi al di là dell’esplicito e dell’immediato, e nei quali con certa reiterazione ossessiva ho (come ho anche fatto nel mio romanzo) cercato di seminare dei riferimenti a determinate sfere, (la prima lista di leggende simboleggia per es. la religione, la seconda, quella sul sangue di drago, la scienza, entrambe sono irrisolutrici sulla psiche rappresentata dal drago stesso) il senso diciamo più profondo del racconto voleva essere quello di rappresentare il suicidio di un soggetto misantropo. Il simbolo del drago è banale, significa “la prova” suprema nell’esistenza di una persona, e in questo caso, per il personaggio, essa è rappresentata dalla accettazione degli altri che deve passare per la soppressione e la sconfitta del disprezzo e dell’odio verso l’umanità: la misantropia appunto. “Il drago” contro cui deve lottare il personaggio è l’odio per l’essere umano. Il personaggio e il drago sono in un certo senso la stessa cosa, coincidono tanto che quando muore l’uno, dell’altro non rimane nulla e questa consapevolezza porta alla morte di entrambi. La vera “vittoria” sarebbe stata quella di disfarsi dell’odio facendo sì che sopravvivesse qualcosa di ulteriore nel personaggio in modo da dargli la possibilità di sopravvivere a sua volta, ma ciò non accade. Il personaggio “vince” comunque perché riesce a sopprimere l’odio verso l’uomo, ma deve arrivare a sopprimere se stesso. L’invulnerabilità del drago alle armi è dovuta proprio al fatto che la violenza, il peggio dell’essere umano, alimenta proprio l’odio verso questo. La sconfitta del drago avviene infatti solo grazie a un briciolo di generosità che però si ritrae prontamente in un personaggio attanagliato dalla sua fobia per l’essere umano.

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